(in collaborazione con padre Taras Zheplinskyi) Chiesa cattolica vietata nei territori occupati dai russi. Per questo, padre Oleksandr Bogomaz, sacerdote della Chiesa greco-cattolica di Melitopol, è stato preso con la forza, interrogato per tre ore e minacciato. Poi dopo la lettura di una “sentenza” di accusa-farsa, è stato buttato fuori dalla città. “Non ho subito violenze fisiche, non ho perso nemmeno un capello dalla mia testa. Ma è un miracolo grande di cui non so spiegarmi i motivi”. Lo racconta al Sir lo stesso sacerdote di Melitopol, la città attualmente sotto l’occupazione russa, conosciuta come la “porta della Crimea” per la sua posizione all’incrocio di due grandi autostrade e una linea ferroviaria cruciale che collega la Russia alla penisola e ad altri territori che occupa nel sud dell’Ucraina. Un territorio strategico che le forze ucraine stanno cercando di riprendersi insieme all’intera regione di Zaporizhzhia, fino alla vicina Kherson. “Svolgevo il mio ministero nella città di Melitopol dal 2016”, racconta il sacerdote. “Per tre anni hо aiutato nella pastorale presso la parrocchia della Natività della Santissima Theotokos, e poi per tre anni e mezzo sono stato amministratore della parrocchia. Sono stato prelevato il 1° dicembre 2022. Era la settima volta che rappresentanti dei servizi speciali russi venivano per perquisirmi. Ho domandato chi fossero, ma non si sono presentati. C’è stata una perquisizione in casa, tutto è stato capovolto. Ci hanno portato via anche il nostro pulmino”.
È stato arrestato?
Non sono stato tenuto prigioniero, mi è stato semplicemente detto che nella regione di Zaporizhzhia, che è controllata dalla Federazione russa, la Chiesa cattolica, in particolare la Chiesa greco-cattolica e la Chiesa cattolica romana, è ora vietata. Sono stato portato con forza al penultimo posto di blocco, vicino a Vasylivka, e poi ho attraversato a piedi la linea di demarcazione. L’esercito e la polizia ucraini, a mia richiesta, mi hanno portato a Zaporizhzhia.
Con quali motivazioni è stato cacciato da Melitopol?
La sentenza mi è stata letta al penultimo posto di blocco, controllato dalle truppe russe, vicino a Vasylivka. C’era una bandiera della Federazione russa. Sono stato messo accanto a questa bandiera e mi è stata letta la decisione. Il nome ufficiale di questo processo è in russo ‘vydvoreniie’ che significa ‘scomunica’, ‘per incitamento all’inimicizia razziale, incitamento all’inimicizia interreligiosa, ostacolo alle attività dei servizi sociali e persona socialmente pericolosa’. Così più o meno sono state formulate le accuse contro di me, e per le quali sono stato ‘deportato’. Mi è stato anche detto che la decisione non è stata presa dalle persone in particolare che mi hanno portato via, ma dalla dirigenza superiore, cioè dalle autorità di occupazione superiori.
Ha avuto paura di morire?
Non ho mai pensato a questo. Ero spaventato. C’era un uomo a Vasylivka, penso che fosse del servizio di sicurezza della Federazione russa, che mi ha rimproverato molto, mi ha urlato contro, ha detto ogni tipo di abominio, ha minacciato di spararmi. Ma ho capito che erano solo minacce. Mi hanno messo molta pressione psicologica. Sono stato interrogato per tre ore. Mi hanno chiesto se fossi un membro dei ‘Cavalieri di Colombo’. Molte cose… Non riesco a ricordare tutto adesso. Ma so cosa mi ha dato forza durante i 9 mesi di occupazione. L’Eucaristia, la celebrazione della liturgia ogni giorno, la lettura quotidiana delle Sacre Scritture, la meditazione e la preghiera, almeno tre volte al giorno, del Rosario. Questo è ciò che mi ha salvato.
Prova odio per le persone che l’hanno presa?
Quando sono stato portato via, ho pregato per i quattro militari russi che mi hanno prelevato. Allo stesso modo, quando mi sono incamminato verso Zaporizhzhya, ho pregato per quelle persone, chiedendo al Signore che concedesse loro la conversione. Non provo odio o sentimenti negativi nei loro confronti. Non voglio nemmeno pensarci. Non voglio nutrire il male nel mio cuore.
Perché nonostante l’occupazione russa, lei ha deciso di rimanere in città?
Anche durante l’interrogatorio mi è stato chiesto perché ho deciso di restare. Sono rimasto perché lì ci sono tante nostre persone, i nostri bambini, ragazzi, ci sono famiglie e persone di cui ci prendiamo cura, che aiutiamo. Ci sono persone che ora vivono sotto occupazione e stanno passando un momento davvero difficile. E la Chiesa con la celebrazione della Liturgia, con l’Eucaristia e la Santa Confessione, è ciò che dà forza e tiene insieme le persone. Mi è stato detto che quando la gente ha saputo ero stato portato via, ha pianto molto. Lo stesso hanno fatto con il parroco, padre Petro Krenytskyi. È una grande perdita non avere la Divina Liturgia.
Due sacerdoti greco-cattolici di Berdyansk, dell’esarcato di Donetsk, padre Ivan Levitskyi e padre Bohdan Heleta, sono stati arrestati. Cosa prova ora nei loro confronti?
Non so perché il Signore Dio mi abbia salvato. So di essere indegno, non ho meritato tutto questo. Credo che tutto ciò mi chieda oggi di usare qualitativamente questo tempo che il Signore Dio mi ha dato. Per quanto riguarda i padri Ivan e Bohdan, prego per loro.
Cosa si è cambiato nella sua vita dopo quello che ha vissuto?
Sono ancora in uno stato di paura, anche se sono passati 13 giorni. Sono sotto stress. Non riesco ancora a calmarmi, non riesco a trovare un posto per me stesso. Ci penso spesso. Mi vengono in mente pensieri. Avevo una parrocchia, avevo gente, la comunità. Ora sono esiliato, non ho dove posare la testa. Ho visitato e sto visitando le famiglie di rifugiati nelle città dell’Ucraina. Sono incontri profondi. Non so cosa farò dopo. So che ora è necessario sostenere le famiglie che hanno lasciato Melitopol. Sogniamo di poterci tornare insieme.
Padre Oleksandr, cosa è la pace dopo quello che ha vissuto?
Cos’è la pace? La pace è quando Dio è nel mio cuore. E se amo Dio, non posso fare il male. Allora ci sarà la pace. La pace è anche poter uscire dalla propria zona di conforto per incontrare una persona bisognosa. Proprio come ha fatto il buon samaritano, tendere la mano, dare libertà alla persona e amarla indipendentemente dalla decisione che prende. E aspettare che l’altro faccia altrettanto, per incontrarti e amarti per come sei. Questa è la pace.