Dal 2014 il “Centro per le libertà civili ucraine” lavora per registrare e documentare i casi di violenza sui civili e gli atti criminali dell’esercito russo: oltre 27mila i crimini di guerra di cui ha raccolto le testimonianze fino alla guerra, che ha reso pressoché impossibile rintracciare i fatti in tempo reale. “Le storie personali sono così diventate numeri”, ha raccontato Oleksandra Matviychuk, l’avvocata per i diritti umani che guida la Ong e che ha ricevuto il Nobel per la pace insieme ai colleghi russi e bielorussi, il 10 dicembre scorso a Oslo. Il Sir la incontra a Strasburgo, dove è arrivata con altri rappresentati della società civile e leader eletti dell’Ucraina, per ricevere il premio Sacharov 2022 per la libertà di pensiero, che il Parlamento europeo ha deciso di conferire al “coraggioso popolo ucraino”. Secondo Matviychuk, “Putin non ha paura della Nato, ma della libertà e con l’invasione Ucraina sta cercando di dimostrare che democrazia e diritti umani non hanno protetto la gente dalla guerra”.
“La mia idea e la mia intenzione è di elaborare un meccanismo che garantisca giustizia a tutte le vittime dell’oppressione. Abbiamo bisogno di una strategia completa per il raggiungimento della giustizia attraverso un tribunale internazionale speciale sull’aggressione”, spiega Matviychuk. Il governo ucraino “promuove quest’idea e noi lo appoggiamo perché purtroppo al momento non ci sono altri istituti internazionali che possano affrontare questi crimini. Quando questo tribunale sarà istituito, con il sostegno dell’Onu, del Consiglio europeo o dell’Ue, serviranno mesi per ascoltare o raccogliere prove, dare un nome alle cose avvenute con un linguaggio giuridico: se è evidente che le truppe russe sono sul territorio ucraino, noi dobbiamo riuscire a essere la voce delle vittime e documentare l’intenzione della Russia di portare avanti un genocidio nei confronti dell’Ucraina”. Per compiere un genocidio “non è indispensabile uccidere tutto un popolo, lo si può fare erodendo l’identità ucraina, come sta avvenendo nei territori occupati. Per questo serve un modello internazionale, in cui investigatori e giudici internazionali lavorano con quelli nazionali, in un tribunale, che non sarà all’Aja o a Ginevra o Berlino, ma in Ucraina. Deve essere indipendente, ma soprattutto deve cominciare a lavorare adesso per arrivare ad attribuire la responsabilità di quello che sta avvenendo”.
Perché le sta così a cuore questo progetto?
Quando lavoro con le persone, mi rendo conto che non hanno solo bisogno di rimettere in piedi le loro vite spezzate, ma di ricostruire le loro verità, le cose in cui credono, tra cui che esiste la giustizia. Che non significa semplicemente vedere qualcuno dietro le sbarre: la guerra ha reso numeri le persone e solo la giustizia può restituire la dignità e i nomi alle persone. Quando si conducono delle indagini, non importa chi tu sia, le indagini sono uguali per tutti, devono chiarire che cosa è accaduto, chi ha commesso il crimine, quale il livello di crudeltà. Si tratta quindi ora di mettere in pratica il principio espresso in tutte le costituzioni e convenzioni, che tutte le vite sono importanti.
Qual è il motivo che la spinge a ripetere spesso che “non c’è tempo”?
Ho paura che l’esempio della Russia sia di ispirazione per altri regimi autoritari, perché è un’illusione che viviamo in sistemi di pace e sicurezza. Tutte le garanzie dell’Onu non sono riuscite a fermare la Russia e altri potrebbero pianificare simili tentativi di dettare le loro regole del gioco nel mondo. Per questo nel mio discorso al Nobel ho parlato della nostra responsabilità storica di definire una nuova architettura internazionale per la pace e la sicurezza di tutti i popoli, non solo per l’Ucraina. Per noi è già troppo tardi. Dobbiamo garantire sicurezza e diritti umani per tutti i cittadini a prescindere dal Paese in cui vivono.
Lei si è sentita ascoltata e compresa, quando ha parlato a Oslo il 10 dicembre?
A Oslo c’era un’atmosfera molto particolare, ma a dover ascoltare sono i politici e questo dipenderà da quante persone si riusciranno a coinvolgere in questo appello globale per la giustizia. Per questo nel mio discorso ho parlato anche di movimenti, di cooperazione orizzontale, solidarietà, iniziative congiunte. A Oslo, il collega russo Jan Rachinsky ha detto che l’Europa deve decidere se scegliere un disagio temporaneo oggi o la catastrofe domani. Per sconfiggere il tentativo di Putin e della Russia di restaurare il suo impero, altre nazioni devono uscire dalla loro comfort zone.
Qual è la sua fonte di ispirazione? Dove trova la forza per andare avanti?
Sono le persone normali, quelle che sono rimaste nonostante la guerra e si sono messe ad aiutare altre persone a sopravvivere, si sono messe insieme a distribuire aiuti umanitari, ad aiutare le persone a scappare dalle città sotto le bombe. Persone come il marito di una mia amica che è morto cercando di portare in salvo altre persone e il suo corpo è stato dilaniato da un’esplosione. E quando senti queste storie non hai più diritto di fermarti, lamentarti. Abbiamo una responsabilità storica enorme. Non voglio che i miei figli crescano con una simile esperienza. Dobbiamo farla finire noi.
Se lo aspettava un Nobel?
Il Nobel è per persone straordinarie, noi attivisti non siamo celebrità, nessuno è interessato a noi. Ora però ne sento la responsabilità, perché il premio ci dà una opportunità unica di essere ascoltati. Ora parlano le armi, perché per anni e decenni le voci di persone come noi non sono state ascoltate. Le voci libere dalla Russia non sono state ascoltate e le democrazie occidentali sono andate avanti a fare affari con la Russia, come se nulla fosse, hanno stretto le mani a Putin, hanno costruito il Nord-Stream. È una lezione enorme da apprendere: se preferisci il benessere ai diritti umani, non avrai né benefici economici né sicurezza.
Quanto è lontana la pace?
Non so predire il futuro, so lottare per un futuro migliore. In questa guerra noi sappiamo per cosa lottiamo: la vittoria non è solo cacciare le truppe russe e riprendere i territori, ma è riuscire nella trasformazione democratica e portare a compimento il sogno delle persone diventato così visibile nella rivoluzione della dignità. Paghiamo un prezzo altissimo per la nostra scelta democratica. Il nostro successo sarà non solo per l’Ucraina ma per tutta la regione. Quello che non capisco è perché, se è vero che stiamo combattendo per tutta l’Europa, non riceviamo le armi. Non chiediamo di venire a combattere con noi, lo possiamo fare da soli, ma almeno dateci le armi.