(da Odessa) “No light, no warm”. Sull’autobus che da Chisinau porta ad Odessa, Natalia, con un inglese stentato ma chiarissimo, descrive così la situazione nella più importante città portuale russa che si affaccia sul Mar Nero. È di ritorno da un viaggio di vacanza. “Era il mio compleanno e mi sono fatta un regalo”, confida sorridendo. È sola con i suoi due bambini. Il papa è rimasto a casa. Agli uomini non è consentito uscire. Natalia rappresenta quella normalità di vita che resiste. “Deve resistere a tutti i costi”, dice indicando i figli, “nonostante la guerra, gli allarmi, i missili, i blackout. Non è facile, anzi è difficilissimo. Ma lo dobbiamo fare”.
Ieri, erano le 8 di mattina quando un allarme aereo è risuonato per oltre 3 ore in tutta l’Ucraina. Il messaggio di allerta viaggia anche via telegram. Gli attacchi sono diffusi su tutto il paese. L’invito è a recarsi nei rifugi. Odessa, Mykolaiv, Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk, Lugansk, Kharkiv, Dnepropetrovsk, Poltava, Sumy, Chernihiv, Kirovohrad, Cherkasy, Vinnitsa e Zhytomyr. Anche l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk lancia un appello. “Esorto tutti a non trascurare le regole e i segnali di allerta aerea, a stare attenti, rimanere nei rifugi e a fare di tutto per salvare la vostra vita e quella dei vostri cari”. Verso le 11 l’allarme è rientrato. Le autorità fanno sapere che la difesa aerea ucraina ha distrutto sei missili sul Mar Nero. Si contano i danni. A Odessa, le truppe russe hanno colpito un bersaglio, ferito un civile e danneggiato edifici. Come l’allarme rientra, la vita in città continua a scorrere normalmente. La gente cammina per le strade. Le mamme portano i bambini a passeggio, le signore escono dai negozi con i pacchi della spesa.
La guerra qui è così: ondeggia tra normalità e allerta, tra vita e morte.
Non fanno paura non solo le bombe. Gli attacchi russi mirano a colpire anche la vita quotidiana delle persone. È una strategia. Se vuoi distruggere un popolo non lo colpisci solo con i missili. Non lo fai morire solo sotto le macerie. Gli togli tutto. Acqua. Cibo. Luce. Riscaldamento. Colpisci le reti Internet e mobili, togliendo così ogni contatto con il resto del mondo. Sono circa 10.000.000 gli ucraini rimasti senza elettricità. Anche ad Odessa, alcune parti della città sono rimaste senza luce, senza web e rete mobile. In quei quartieri, la città è completamente inghiottita nel buio. Anche i semafori hanno smesso di funzionare per mancanza di elettricità. Padre Roman Krat è il portavoce del vescovo locale ammette di non avere molte informazioni ma “un attacco così massiccio sull’Ucraina molto probabilmente è legato alla liberazione della città di Kherson e alla necessità di Putin di far vedere ai russi che sono ancora forti e al grande palcoscenico mondiale del G20 che la partita è tutt’altro che finita”.
Dopo l’euforia per la liberazione di Kherson, si fa il “punto” della situazione. Di fatto la città rimane ancora chiusa. Nessuno può entrare e uscire. E le ragioni sono sostanzialmente tre, spiega padre Krat. Si teme che siano ancora presenti forze russe che gli ucraini stanno cercando casa per casa. Il territorio poi è completamente minato e quindi estremamente pericoloso. Il presidente Volodymyr Zelensky fa sapere su Telegram che dall’inizio della disoccupazione, i genieri della polizia hanno già ispezionato più di 400 ettari dei territori liberati a Kherson e che sono stati sequestrati più di 4.000 oggetti esplosivi. Ma il terzo motivo è forse l’aspetto più drammatico di questa guerra. Prima di andare via, la Russia ha bombardato e distrutto “tutte le infrastrutture cruciali” della città. Man mano che passano i giorni, la scoperta degli orrori commessi non finiscono. Gli inquirenti ucraini hanno rinvenuto una presunta “camera delle torture” a Kherson, dove decine di uomini sarebbero stati detenuti, picchiati, torturati con l’elettricità e anche uccisi dalle forze occupanti russe. “Per più di un mese – racconta padre Krat – a Kherson non sono potuti arrivare beni di prima necessità e cibo. La gente non sapeva cosa mangiare. Per fortuna, nonostante la Regione sia tutta minata, sono riusciti a portare in questi giorni scorte di aiuti umanitari e migliaia di persone si sono messe in fila per ricevere un pezzo di pane. Io questo lo chiamo ‘genocidio in forma moderna’, la distruzione cioè intenzionale di un popolo che viaggia però in maniera sotterranea”.