“La cosa che più preoccupa non è tanto la paura delle bombe. È la paura che questo diventi l’ennesimo conflitto dimenticato. Se dovessimo affrancarci dal gas russo, questa guerra potrebbe continuare per altri 50 anni senza che nessuno se accorga più”. Gianpiero Cofano, segretario generale della Comunità Papa Giovanni XXIII e coordinatore della Rete StopTheWarNow, confida i suoi pensieri mentre a bordo della sua passat, sta ritornando indietro dalla carovana della pace che dal 29 agosto al 3 settembre ha portato prima a Odessa e poi a Mykolaiv 50 volontari italiani ed una decina di tonnellate aiuti umanitari. Questa volta, l’iniziativa di solidarietà e pace si è spinta fino a pochi chilometri dal fronte di Kherson raggiungendo i volontari della Comunità Papa GXXIII che da tre mesi hanno scelto di vivere a Mykolaiv. Un’operazione complessa e difficile vissuta condividendo con la popolazione ucraina la sospensione dei bombardamenti, il suono delle esplosioni dal fronte, gli allarmi continui, il rifugio nella notte.
Cofano, come è andata?
Siamo partiti con 10 tonnellate di aiuti, 50 volontari, 10 van. Torniamo indietro con un bagaglio di sogni e di speranze, di cose da fare e realizzare in Italia. Perché la pace non va costruita soltanto qui in Ucraina. La pace è un bene universale e deve partire anche dai nostri Paesi. Invochiamo allora un impegno e un’azione dei nostri governi affinchè questa pace venga costruita. Ma anche noi dobbiamo essere soggetti attivi di pace nelle nostre famiglie, nelle nostre città e tradurre in azione politica sui nostri territori quello che abbiamo visto e ascoltato, portare con noi il pianto, il dolore che abbiamo condiviso con i nostri fratelli. Queste carovane sono importanti perché raccogliamo gli abbracci e le speranza delle persone che soffrono sotto le bombe, ma sono ancora più importanti per quello che riportiamo indietro, in Italia.
Che situazione avete trovato sul campo, in una regione poi anche molto calda come Odessa e Mykolaiv?
Quando siamo entrati in Ucraina la prima volta, era appena iniziato questo conflitto e si respirava un clima forte di angoscia, paura, e disperazione di milioni di persone che attraversavano le frontiere. Si potrebbe dire che a sei mesi dall’inizio di questa offensiva su vasta scala, c’è un tentativo di normalità. Le stesse autorità ucraine esortano ad un ritorno alla vita. Avendo scelto di stare sul fronte, purtroppo, la situazione la vediamo più nera e più cupa. L’incontro in questi giorni con le autorità di Mykolaiv descrivono molto bene questo stato. Ci dicono che se le fabbriche non aprono, se il gas e l’acqua pulita e potabile non arrivano nelle case, sarà difficile quest’anno per le 200mila persone rimaste in città superare l’inverno. Abbiamo raccolto tanti “se”. Vuol dire che la situazione è ancora molto critica. Fino a due giorni fa, la città di Mykolaiv è stata presa di mira con 20 missili. Hanno riaperto le scuole ma le lezioni si stanno facendo online perché il rischio di radunare bambini in pieno giorno, è troppo alto. Non vedo grandi segni di miglioramento.
Che cosa chiedono gli ucraini? Di cosa hanno più bisogno ora?
Qui c’è la differenza tra un’organizzazione umanitaria e StopTheWarNow e l’esperienza dei corpi civili di pace. Normalmente una istituzione locale in zona di guerra chiede pane e soldi. Quello che invece ci hanno chiesto i nostri amici di Mykolaiv è di venire a vivere con loro. Portateci gli aiuti – ci dicono – ma condividete qui con noi la vita. Noi ora torniamo a casa dove non ci manca niente. Loro invece rimangono lì, sotto le bombe ed una vita che è stata totalmente stravolta.
I tavoli negoziali sono bloccati. Di cosa ha bisogno oggi la pace per ripartire?
È difficile dirlo e non siamo analisti né studiosi di geo-politica. Noi viviamo con la gente e con la gente proviamo ad immaginare delle soluzioni di pace. Se c’è una soluzione o una via, cerchiamo di studiarla con loro. Perché quando le radici partono profonde dal basso, l’albero cresce forte e solido. Innanzitutto dobbiamo smettere di inviare armi e chiedere alle parti in guerra di sedersi ad un tavolo negoziale. Sono passati 6 mesi. Se non crediamo che c’è sempre uno spazio di negoziazione e di pace possibile, vuol dire che ci siamo rassegnando alla morte. Se pensiamo che chi ha più missili e forza militare e quindi capacità di ammazzare donne, uomini e bambini, vincerà, ci rassegniamo alle logiche della guerra. Se non c’è spazio negoziale e ci si consegna alle armi, anche gli aiuti umanitari sono inutili e destinati ad essere una flebo attaccata al braccio di un popolo destinato a morire. Erano partiti dei timidi tavoli negoziali. Spingiamoli. Ma russi e ucraini non scenderanno mai al negoziato finchè i potenti della terra non li indurranno a compiere questo passo. Vuol dire che la capacità e la volontà di pace è anche in mano nostra. Facciamo in modo che non siano le logiche militari e delle fabbriche belliche a governare i destini dei popoli.
StopTheWarNow non finisce qui. Il 26 settembre ripartirà una nuova carovana della pace per Kiev. Come proseguirà questo impegno?
StopTheWarNow non sono soltanto le carovane né gli aiuti umanitari né la presenza sul campo. È tutto questo insieme. Ci piace definirlo come uno sciame sismico di piccole azioni promosse da tante realtà presenti in Italia, enti, associazioni, organismi. Uno sciame continuo di iniziative che ossigena con gesti e azioni di solidarietà, vicinanza e fraternità, il movimento della pace.