La comunità internazionale e soprattutto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) sono fortemente preoccupate per lo stato dell’impianto nucleare di Zaporizhzhia, con rischi potenziali molto gravi. La tensione è alta. A confermarlo al Sir è Pasquale Ferrara, dal maggio 2021 direttore generale per gli Affari politici e di sicurezza del Ministero degli Esteri, al quale abbiamo chiesto di fare il “punto” sul lavoro diplomatico che si sta portando avanti in queste ore sulla questione Ucraina. “Questa centrale – spiega Ferrara – ha sperimentato in diverse occasioni uno scollegamento dalla rete elettrica che è cruciale per il funzionamento di tutti i circuiti, in particolare i sistemi di raffreddamento e il collegamento da remoto per monitore i livelli e lo stato generale della centrale. Adesso quindi siamo tutti molto concentrati ad aiutare il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, perché possa effettuare una visita sul posto e cercare di capire quali siano i danni eventuali e procedere alla riparazione”. E proprio oggi il direttore generale dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha annunciato con un tweet di essere diretto alla centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia. “Il giorno è arrivato, la missione dell’Aiea a Zaporizhia è partita. Dobbiamo proteggere la sicurezza dell’Ucraina e la più grande centrale elettrica d’Europa”, ha scritto Rafael Grossi sul social, specificando che la missione arriverà sul posto in settimana.
Quanto è grave la situazione?
Una centrale nucleare fuori controllo è molto pericolosa. La priorità è evitare assolutamente eventi che possano produrre la fuoriuscita di materiale radioattivo. Nei giorni scorsi, a Leopoli, c’è stato un incontro del segretario generale delle Nazioni, Antonio Guterres, con il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, dove si è discusso tra l’altro anche dei passi necessari da fare per garantire l’accesso degli ispettori alla centrale. Una prima questione è capire quale possa essere la via d’accesso praticabile, se cioè entrare dal territorio controllato dai russi o da quello sotto il controllo ucraino. È una questione cruciale, perché impatta sia sulle operazioni militari in corso proprio in quell’area sia sull’esercizio della sovranità sulla centrale. Un tema estremamente spinoso, che si cerca di risolvere in modo pragmatico, senza però far venir meno il principio della sovranità ucraina.
Che tempi ci saranno?
In un primo momento la missione era prevista per l’ultima settimana di agosto. Ci sono almeno tre nodi da sciogliere. In primo luogo, la questione logistica, e cioè capire attraverso quale percorso gli ispettori possano accedere al sito. In secondo luogo, questioni di sicurezza, che richiedono iniziative di de-conflicting, visto che la centrale si trova proprio sulla linea del fronte, e bisogna garantire l’incolumità degli ispettori e dei tecnici. In terzo luogo, come già accennato, le implicazioni politiche legate al controllo del territorio a medio-lungo termine. Però siamo abbastanza fiduciosi. C’era tanto scetticismo anche sull’accordo sul grano, ma fortunatamente l’intesa regge e ieri è partita la 33ª nave. È importante continuare a credere che almeno alcune questioni specifiche possono trovare soluzioni diplomatiche.
D’altra parte, nessuno può permettersi di sottovalutare un rischio nucleare in Europa.
Quello nucleare è uno dei rischi trans-nazionali che riguarda tutti. Riguarda l’Europa ma riguarda anche la Russia. Bisogna considerare che quando c’è una guerra, c’è sempre il rischio che l’approccio militare non sia sintonizzato con le esigenze politico-diplomatiche. I capi militari territoriali talvolta perseguono obiettivi non armonizzati con quelli politici. Credo però che la sicurezza di una centrale nucleare, come pure la sicurezza alimentare legata all’esportazione di grano ucraino, sono questioni che non possono essere ridotte alla logica degli obiettivi militari immediati, perché riguardano la sicurezza non solo pan-europea, ma addirittura globale.
Come è stato possibile scivolare così in basso?
Bisogna dire che tutte le guerre producono “effetti collaterali” estremamente gravi. Colpiscono l’economia, le vie di comunicazione, la mobilità delle persone. Ovviamente in una situazione estremamente intricata come quella ucraina, anche in relazione alla posizione e al ruolo che l’Ucraina ha nel continente europeo e anche per le forniture di beni essenziali che assicura a livello mondiale, questa crisi ha degli effetti che sono amplificati rispetto ad altre situazioni. Stiamo parlando cioè del cuore geo-politico, storico e geografico del continente pan-europeo.
La prospettiva di un cessate-il-fuoco e la possibilità di riaprire i tavoli negoziali si stanno allontanando sempre di più, vero?
Difficile dirlo, anche perché i segnali sono abbastanza contraddittori. Abbiamo verificato per esempio che in alcune circostanze specifiche, quando si circoscrive una particolare situazione, si riesce ad andare avanti con una prospettiva diplomatica. È successo, come ho detto, per il grano. Siamo fiduciosi per la centrale. Non è quindi vero che la diplomazia in tempi di guerra non funzioni per niente. Funziona in parte e su alcune questioni. Dove non ha funzionato fino adesso è sulla cessazione delle ostilità. Questo noi lo stiamo chiedendo con forza come G7, come Unione Europea, e da molto tempo. Il problema in questo caso è che questa rischia di essere una guerra che si prolunga molto nel tempo. Non c’è nessuna intenzione dei Russi, almeno stando a quando visto sinora, di mettere fine in tempi rapidi a questa guerra di aggressione, né – giustamente ed a titolo di legittima difesa – c’è alcuna intenzione di cedimento da parte degli ucraini.
E l’Italia che ruolo svolge?
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è di recente andato a Kiev per una visita diplomatica programmata da tempo e voluta per dare il segnale che l’Italia continua ad essere accanto all’Ucraina e a sostenerla non solo sotto il profilo dell’assistenza alla Difesa e finanziaria, anche in altri campi. In questa missione, ad esempio, il ministro Di Maio ha annunciato il finanziamento di circa 2 milioni di euro per un programma di sminamento. Si tratta di un progetto a carattere anche umanitario perché è a salvaguardia della vita dei civili che si realizzerà in parte attraverso un’agenzia delle Nazioni Unite e in parte con un programma di formazione dei bambini, affinché abbiano consapevolezza del rischio mine. Ciò richiede necessariamente uno sguardo a lungo termine, puntando già da oggi a mettere in campo iniziative da avviare quando cesseranno le operazioni militari sul campo.
La preoccupa questa campagna elettorale?
Ci sono linee della politica estera italiane che hanno una continuità. La posizione dell’Italia nei confronti dell’Ucraina è maturata a livello europeo, tra i 27 Stati membri dell’Unione europea come pure all’interno del G7, e in particolare nel rapporto transatlantico con gli Stati Uniti. Una guerra di aggressione è qualcosa di oggettivamente distruttivo e deleterio dell’ordine internazionale. La Carta delle Nazioni Unite condanna qualsiasi tipo di aggressione e invita tutti gli Stati a trovare metodi di soluzione pacifica alle controverse. Credo che su questo impegno ci sia una convergenza che accomuna tutta la società italiana e le singole forze politiche.