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Il seminario di Vorzel distrutto dalla guerra si apre ai giovani. Il rettore: “Nonostante tutto, crediamo alla vita”

Si terrà nel seminario di Vorzel dal 15 al 21 agosto un campo estivo vocazionale per ragazzi dai 16 anni in su. L’edificio era stato distrutto e saccheggiato ad aprile, durante i forti combattimenti nella periferia di Kiev. A pochi chilometri da qui, ci sono le città martiri di Bucha, Irpin, Borodjanka. “Non sappiamo quanti verranno”, confida il rettore del seminario, padre Ruslan Mykhalkiv: “Non è importante. È importante cambiare atmosfera, prendersi tempo, mettersi in ascolto del Signore”

(Foto: RKC)

Erano i primi giorni di aprile quando il Seminario superiore di Vorzel fu saccheggiato. Si trova nella periferia di Kiev, a pochi chilometri dalle città martiri di Bucha, Irpin, Borodjanka. In quei giorni di forti combattimenti nella zona, alcuni entrarono nel seminario, sfondarono il cancello di ingresso e portarono via tutto. Le foto della statua della Madonna distrutta a terra, delle finestre frantumate e dei colpi di mortaio sui muri fecero il giro del mondo. Erano il segno che la guerra non rispetta nulla, neanche i luoghi di preghiera e spiritualità. A cinque mesi da quel fatto, il seminario non solo ha riaperto, grazie anche al contributo di tanti, ma dal 15 al 21 agosto, ospiterà un campo estivo vocazionale per ragazzi a partire dai 16 anni. “Non sappiamo quanti verranno”, confida il rettore del seminario, padre Ruslan Mykhalkiv. “Non è importante. È importante cambiare atmosfera, prendersi tempo, mettersi in ascolto del Signore”. Sull’invito, si chiede ai ragazzi di portare “le Sacre Scritture, un taccuino con una penna, un cambio d’abito e

(Foto diocesi Kiev)

buon umore”. Il programma prevede momenti di spiritualità e momenti di gioco e ricreativi. Si andrà anche a Bucha, Irpin, Borodjanka, per far vedere le ferite della guerra. Perché “la spiritualità” – dice il rettore – non è un luogo in cui fuggire ma un posto “dove poter trovare una risposta alle domande dei ragazzi e a tutto il male che hanno vissuto”. C’è una parola chiave che i sacerdoti hanno scelto quest’anno per questa iniziativa ed è: “nonostante”: “nonostante tutto quello che sta succedendo, nonostante la guerra che ha profondamente complicato e ridotto la nostra vita. Nonostante – spiega padre Ruslan – vuol dire che vogliamo rimanere fedeli alla vita, custodire il nostro futuro, guardare avanti. Vuol dire che nonostante la situazione e il peso della guerra, noi rimaniamo normali”.

Come stanno i giovani in Ucraina?

Nonostante la pazzia di questa situazione e l’ingiustizia che grida al cielo, stiamo assistendo a dinamiche che sono profondamente cristiane e umane. Faccio riferimento per esempio alla prontezza che stiamo vedendo nell’aiutare l’altro, nel venire incontro alle persone costrette a lasciare le loro case, soprattutto dall’Est del paese. Non ci sono solo armi e combattimenti ma anche comunità che hanno aperto le loro porte per accogliere. La guerra ha fatto riscoprire l’importanza degli altri e la generosità di un popolo. I giovani? Hanno bisogno di avere degli esempi a cui guardare. E ce ne sono tanti oggi in Ucraina. Penso all’esercito, ai volontari, ai dottori, anche ai sacerdoti. Ci sono autisti che guidano treni, pulmini e autobus per aiutare le persone ad evacuare e spostarsi da una città all’altra. Ci sono persone che distribuiscono pane e aiuti umanitari nei centri. C’è sempre qualcuno dietro che lavora.

Le scuole riprenderanno a settembre?

È una questione molto delicata. Perché non cessano di essere lanciati i missili sopra di noi. E le scuole non sono adeguate a garantire la sicurezza degli studenti. Non sono luoghi dove i ragazzi e i bambini possono rifugiarsi in caso di allarme. Ma anche stare a casa fa male. Lo abbiamo visto nei due anni di lockdown. La scuola a distanza toglie il contatto di cui i ragazzi hanno invece tanto bisogno. Ma la ripresa dei corsi è troppo rischiosa, adesso. Il nostro nemico agisce come una società di terroristi. Non si ferma neanche di fronte alle scuole.

Molti giovani sono usciti fuori dal Paese o sono rimasti?

Tanti sono rimasti. E tanti che erano usciti, sono rientrati. Dipende dalla zona da cui sono scappati. Si dice anche che tra ottobre e novembre, ci potrà essere una nuova ondata di fuga di persone che scapperanno dalle zone orientali del Paese dove c’è la guerra. Fino ad oggi sono andati avanti nella speranza di resistere, ma gli inverni da noi sono molto duri e la gente sarà costretta a lasciare le case.

Non le sembra che la guerra oltre a distruggere le case, stia rubando anche il futuro dei ragazzi?

Sì, anche perché hanno distrutto tantissime università, scuole, asili. Tanti ragazzi hanno i genitori impegnati nell’esercito e molti di loro non sono più tornati. Sono spariti. Forzatamente spostati in Russia o in Bielorussia. Questa situazione non tocca tutti ma tante persone sono ferite da questa realtà. E poi le sirene: il loro suono fa ormai da sottofondo alla nostra vita. È vero che ci siamo abituati ma poi arrivano notizie di missili lanciati sulle case, allora capisci che è tutto vero, che siamo in guerra, che non puoi sentirti mai al sicuro.

Quando fu colpito il seminario dei Vorzel, il vescovo di Kiev, mons. Vitalii Kryvytsky, disse che era importante riaprilo per il bene della Chiesa e del Paese perché l’Ucraina, che sarà ricostruita dopo la guerra, avrà bisogno anche di guide spirituali – sacerdoti. Come dovranno essere i preti della “ricostruzione”?

Penso che dovrà essere una persona che sa cosa vuole dire amore e cosa vuol dire sofferenza, che ha fatto esperienza di entrambe le situazioni e per questo crede che l’amore sia più forte, addirittura della morte stessa. Dovrà anche essere una persona che sa prendere distanza dal male generato dalla guerra perché è un male che ti consuma dentro, ti entra scatenando emozioni forti, sentimenti di odio contro un’ingiustizia subita senza alcuna ragione. Dovrà quindi essere una persona capace di rimanere sempre nella speranza, di custodire il cuore nel perdono, di non permettere al veleno della morte di entrare. La guerra è una condizione pesante ma ci ha messo di fronte a ciò che veramente vale. Il prete dovrà essere una persona capace di accompagnare la gente in questo percorso. Conosco almeno tre mamme che non sanno dove sono i propri figli impegnati nell’esercito ucraino. Li hanno portati in Russia ma non sanno dove. Come possono perdonare? Forse non ci sono risposte ma c’è un percorso da fare insieme.

 

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