“Purtroppo la guerra continua e non sappiamo quando finirà, ma il popolo ucraino è forte, perché sa che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno l’anima. Noi abbiamo il diritto di avere il nostro Paese indipendente e di essere liberi. Come cristiani possiamo aiutare con la preghiera, ma anche con la solidarietà, come ci ha suggerito Gesù nelle Beatitudini. Siamo grati perché ci sono notizie che dicono che il Santo Padre verrà in questa terra tanto insanguinata, noi speriamo che venga ad abbracciarla e benedirla e che continui ad invocare tutto il mondo affinché la pace torni a regnare”. Questo il sogno dell’arcivescovo di Leopoli, mons. Mieczysław Mokrzycki, intervistato subito dopo la messa celebrata mercoledì 13 luglio in cattedrale, con la quale ha inteso accogliere la Missione Ucraina arrivata dall’Italia, organizzata dal Movimento Shalom di San Miniato (Pi), in collaborazione con la diocesi di San Miniato. Una cerimonia toccante, in ricordo delle vittime della guerra, ma soprattutto una celebrazione incentrata sulla preghiera per la pace. Assieme a mons. Mokrzychi, hanno officiato il vescovo ausiliare di Leopoli, mons. Edward Kawa, e il vescovo di San Miniato, mons. Andrea Migliavacca.
L’11 luglio dalla Toscana sono partiti quattro mezzi – tre furgoni e un pullmino – carichi di materiale di primo soccorso, per l’igiene, vestiario e giochi per bambini, alimenti a lunga conservazione anche per neonati, materiale didattico. La spedizione ha anche recapitato donazioni per oltre 20mila euro, tra contributi privati, dei soci Shalom e il ricavato della manifestazione-concerto “Rock & Peace for Ucraina”, che si è tenuta a Forcoli (Pi) ai primi di giugno. In Polonia i pacchi sono stati presi in carico dalla Caritas della diocesi di Przemyśl. “Fin dall’inizio della guerra in Ucraina, siamo stati attivamente coinvolti nelle attività di sostegno ai profughi – afferma don Pawel Konieczny, vicedirettore della Caritas -. Ogni giorno 250 nostri volontari operavano alla stazione di Medyka, il punto di confine tra Polonia e Ucraina più frequentato. Ogni giorno arrivavano 30-40mila profughi. La maggior parte erano donne con bambini. Abbiamo cercato di garantire a tutti l’essenziale: cibo, acqua e coperte, perché all’inizio della guerra, a febbraio-marzo, qui faceva molto freddo e le persone arrivavano intirizzite. Abbiamo accolto nelle nostre strutture specializzate 65 malati terminali e 35 malati mentali. E poi, naturalmente, ci siamo organizzati per mandare aiuti oltre confine, fino ai luoghi vicini al fronte”.
Nel seminario di Przemyśl, in contemporanea con la missione italiana, erano riuniti circa 70 vescovi greco-bizantini per il Sinodo, con opinioni diverse in merito alla possibile conclusione del conflitto tra Russia e Ucraina. Stanislaw Jamrozek, vescovo ausiliare di Przemyśl, è possibilista rispetto ad una riconciliazione tra i due popoli. “La guerra è ciò che il mondo sperimenta quando si allontana da Dio – dice -.
Noi dobbiamo pregare, chiedere la riconciliazione tra ucraini e russi.
Speriamo che riscoprano la loro amicizia. A noi Dio ha indicato la via per aiutare coloro che soffrono. Così abbiamo scoperto la grande apertura dei polacchi verso i bisognosi. Sono arrivati da noi quasi 4 milioni di ucraini. Ora una grande parte è ripartita, ma è bello che la nostra gente abbia aperto le proprie case”. È invece meno possibilista mons. Josef Michalik, arcivescovo metropolita emerito dei Latini di Przemyśl: “Non capiamo perché usare le forze per eliminare l’altro. Piuttosto dobbiamo unirle per promuovere il bene e la bellezza del contatto con il Signore – sostiene -. Tuttavia, non abbiamo odio nei confronti dei russi, questa guerra non è colpa della popolazione, sono i dirigenti che da sempre hanno seminato la falsità e l’ideologia imperialistica. Bisogna arrivare con questa verità alla gente semplice e risvegliarne le coscienze”. L’arcivescovo Eugeniusz Popowicz, metropolita di Przemysł-Varsavia della Chiesa greco-cattolica in Polonia, evidenzia: “Serve un primo passo di penitenza da parte di chi ha cominciato questa guerra. Ma pesano le sofferenze, perciò pensare ad una riconciliazione è troppo presto. Arriverà, ma non adesso. Prima la giustizia, poi la riconciliazione”. Per il vescovo greco-cattolico ucraino Mykola Bychok, che guida l’eparchia dei Santi Pietro a Paolo a Melbourne: “Stiamo vivendo una pagina di storia molto difficile in questo luogo dove i comunisti per ottant’anni hanno soffocato la Chiesa.
Stiamo combattendo per la nostra cultura”.
Non è facile seminare pace quando gli animi sono così inaspriti. Non è facile seminare pace mentre lungo le strade di Leopoli i feretri transitano sulle note del “Silenzio” e la popolazione si ferma con le lacrime agli occhi e la mano sul cuore. Ed è ancora meno facile quando si entra nella chiesa greco-cattolica, mentre i fedeli sono radunati per i funerali. E, nella navata sinistra, scorrono i volti delle vittime: militari, civili, bambini. Troppi bambini. Ma Shalom la pace ce l’ha nel nome. “Durante la nostra missione, nei momenti di preghiera la pace ha raggiunto il punto più profondo perché dobbiamo costruirla noi, ma dobbiamo anche chiederla in dono e, in questa terra così martoriata, la chiediamo davvero con insistenza a Dio e con insistenza agli uomini”, conclude il vescovo di San Miniato, mons. Andrea Migliavacca.
Hanno partecipato alla missione il gen. Antonino Zarcone, che ha facilitato le relazioni in quanto conoscitore dei luoghi, don Andrea Pio Cristiani, fondatore del Movimento Shalom, con l’attuale presidente Vieri Martini, don Donato Agostinelli, parroco di Santa Croce in Arno, il sindaco di Fucecchio Alessio Spinelli, e i volontari Carlo Coppola, Giovanni Giannoni, Nicola Monti, Antonio Morelli, Stefano Soldani.