Si chiama “Catholic Response for Ukraine (CR4U) working group” ed è un gruppo di lavoro che riunisce tutte le organizzazioni della Chiesa cattolica impegnate in prima nell’aiuto umanitario alle vittime ucraine della guerra. Ne fanno parte la Caritas Internationalis, il Jesuit Refugee Service (Jrs), l’Icmc, l’Ordine Sovrano di Malta, DePaul International, i Cavalieri di Colombo, Stella Maris, il Ccee e la Comece, come espressioni delle Conferenze episcopali europee. “Subito dopo l’attacco russo all’Ucraina – racconta al Sir mons. Robert Vitillo, segretario generale dell’International Catholic Migration Commission (Icmc) – su invito della Sezione Migranti e Rifugiati della Santa Sede, tutte le organizzazioni umanitarie globali della Chiesa si sono riunite in Vaticano per fare il punto della situazione e condividere le azioni sul campo. In quell’occasione abbiamo deciso di formare questo gruppo lavoro per continuare questo scambio di informazioni e esperienze e condividere difficoltà e esigenze per individuare chi può intervenire e dove”. Mons. Vitillo è appena tornato da un viaggio in Polonia e Ucraina e martedì 12 luglio – attraverso la Comece – è intervenuto a Bruxelles ad un incontro di dialogo con il parlamento europeo (art. 17, Tfue) dedicato alla risposta umanitaria alla guerra in Ucraina.
Mons. Vitillo, che cosa ha raccontato ai parlamentari europei?
Abbiamo fatto un rapporto dell’azione della Chiesa cattolica a livello locale perché la maggior parte delle persone che sta rispondendo in prima linea a questa crisi umanitaria sono i sacerdoti, le suore, gli operatori e i volontari del posto. Dalle parrocchie, alle diocesi, alle congregazioni religiose. La loro azione è resa possibile anche grazie al sostegno e ai fondi che arrivano dagli organismi del gruppo di lavoro. Ho poi parlato di quello che gli stessi rifugiati e sfollati mi hanno raccontato durante la mia visita sia in Polonia sia in Ucraina. Molto spesso si parla di statistiche ma non si parla delle persone e delle storie che si nascondono dietro quei numeri. E infine ho ricordato le dichiarazioni ultime delle Comece sulla protezione temporanea a seguito dell’afflusso massiccio di persone in fuga dall’Ucraina a causa della guerra. Ho ricordato anche l’appello del papa all’Angelus del 3 luglio quando ha detto: “Il mondo ha bisogno di pace, non una pace basata sull’equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca” perché “questo vuol dire far tornare indietro la storia di 70 anni”.
Non c’è il rischio che con il passare dei mesi, l’Europa dimentichi l’Ucraina?
Spero di no, ma il rischio c’è. Non solo a livello di Unione Europea, anche l’opinione pubblica sta diventando distratta. Sui mass media si parla sempre di meno della crisi ucraina. E se l’opinione pubblica non è attenta e i mass media sono distratti, inevitabilmente anche i politici sono spinti ad interessarsi ad altre cose. C’è un grande rischio. Questa guerra sta purtroppo facendo prevedere tempi lunghi. Questo richiede soluzioni più strutturate anche a livello di accoglienza. All’inizio si è operato per soluzioni temporanee ma ora occorre ripensare a soluzioni di più lunga durata, a cominciare per esempio dalla scuola per i bambini e i ragazzi e a percorsi di integrazione scolastica. La pace è necessaria, anzi essenziale. Ma se la guerra dura, le persone che sono fuggite, non possono vivere in uno stato di prolungata incertezza.
Che cosa ha visto nel suo viaggio in Polonia e in Ucraina?
E’ evidente uno stato di insicurezza anche nella parte Ovest del Paese. Il rischio di un attacco imminente è sempre presente. La gente ne parla molto. Colpisce poi la presenza di tanti sfollati. Molti arrivano dall’Est senza niente, solo con i vestiti addosso. Hanno quindi bisogno di tutto. Molti sono reduci da settimane trascorse nei rifugi sotterranei, con poco cibo e acqua. Sono molto provati fisicamente ma anche psicologicamente traumatizzati.
Che emergenze emergono?
Ci sono molte parrocchie, diocesi, congregazioni religiose che hanno aperto le porte delle loro case, conventi e scuole per accogliere queste persone. Anche i centri offerti dal governo, sono comunque gestiti dalla Chiesa. Non si tratta però solo di dare qualcosa da magiare o un tetto dove dormire. Ma anche di mettere il rifugiato e lo sfollato al centro di tutta l’azione di accoglienza. Una donna mi ha detto: “non abbiamo solo bisogno di mangiare e dormire. Abbiamo bisogno di trovare un posto dove poter curare le nostre anime e i nostri cuori”. Si tratta allora di avere un approccio più olistico ai bisogni di questi sfollati e rifugiati. Sono per la maggior parte donne e bambini. Gli uomini sono rimasti a casa, molti a combattere. La realtà delle famiglie separate è molto evidente in Ucraina. Per me è stata una lezione di vita. Sono stati accolti nei centri ma ci si chiede per quanto tempo ancora possono rimanere in queste condizioni e in questi centri.