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Che fine ha fatto la Conferenza sul futuro dell’Europa?

I 27 capi di Stato e di governo hanno affrontato, nel summit della scorsa settimana, i risultati della Conferenza sul futuro dell'Europa, convocata lo scorso anno per dare la parola ai cittadini sulle necessarie riforme per rilanciare l'integrazione comunitaria. Ma dalla riunione dei leader non sono emerse indicazioni particolarmente illuminanti né coraggiose. Mentre l'Unione è attesa a grandi sfide che richiederebbero qualche passo deciso

L'ultima seduta della Conferenza sul futuro dell'Europa (Foto: SIR/European Parliament)

Che fine ha fatto, o, se si preferisce, che fine farà la Conferenza sul futuro dell’Europa? Un anno di lavoro, dal 9 maggio 2021 al 9 maggio di quest’anno, con infinite riunioni, decine e decine di proposte emerse dai cittadini (mediante piattaforma on line, gruppi di approfondimento, dibattiti locali, plenarie a Strasburgo) accompagnati dalle istituzioni Ue, per riformare l’Unione, renderla più efficace e vicina ai cittadini stessi.
Una grande occasione, lanciata in grande stile, lasciando intendere che Parlamento, Commissione e Consiglio Ue avessero inteso le sollecitazioni che giungevano dalla “base”. Nel complicato eppure promettente tornante della storia, segnato da pandemia, guerra e recessione,

l’Europa è chiamata a rinnovarsi per stare al passo con i tempi.

Instabilità geopolitica, economie traballanti, mutamento climatico, questione demografica, crisi energetica, migrazioni, giustizia sociale, rivoluzione digitale: sono solo alcune delle voci che invocano cambiamenti profondi anche in sede Ue, oltre che ai livelli nazionali.
La Conferenza aveva portato tante proposte, fra cui l’avvio di una Convenzione per la riforma della stessa Unione, senza escludere una – pur complicatissima e non scontata – riforma dei Trattati.
Il Parlamento europeo aveva colto il vento che spirava. Il 9 giugno la plenaria aveva approvato una risoluzione, invitando il Consiglio europeo del 23-24 giugno ad approvare l’avvio del processo di revisione dei Trattati Ue istituendo una Convenzione. “Ciò consentirebbe all’Unione – questa la ragione – di dare seguito al più presto ai risultati della Conferenza e dimostrare la sua volontà di rispondere alle richieste di riforma istituzionale proveniente dai cittadini”.
Nei corridoi di Bruxelles e Strasburgo non si erano certo negate le difficoltà di un simile impervio sentiero. Anche perché la riforma dei Trattati dovrebbe poi passare dalle forche caudine delle ratifiche nazionali: ed è ancora fresco il ricordo di bocciature sonore, specie adesso, in un clima di sovranismo imperante in diverse forze politiche e in una buona parte delle opinioni pubbliche.
Il Consiglio europeo della scorsa settimana ha infine assunto una propria posizione, così riassunta nelle “Conclusioni” del summit: “Il Consiglio europeo prende atto delle proposte contenute nella relazione sui risultati della Conferenza presentata ai tre copresidenti”, riconoscendo che “la Conferenza ha rappresentato un’opportunità unica per dialogare con i cittadini europei”. Quindi la frase-clou: “Le istituzioni devono garantire un seguito efficace alla relazione, ciascuna nell’ambito delle rispettive competenze e conformemente ai Trattati”.
Ovvero? La Conferenza era nata sotto gli auspici, e con l’impegno congiunto, delle tre istituzioni: perché ora questo richiamo alle “rispettive competenze”? Come a ribadire che – senza troppi giri di parole – il pallino della politica comunitaria resta in mano al Consiglio, dove siedono i rappresentanti dei 27 Governi, mentre Parlamento e Commissione, le due istituzioni più “comunitarizzate”, debbano rimanere in secondo piano? E quel “conformemente ai Trattati”, significa che gli stessi Trattati Ue vanno considerati immutabili, nonostante siano, per diversi aspetti, “fuori tempo massimo”? Basti pensare alla (giusta) richiesta della Conferenza di abolire il voto all’unanimità in sede di Consiglio sui temi della politica estera, della fiscalità, della protezione sociale, dell’adesione di nuovi Paesi membri. Oppure alla necessità di assegnare al Parlamento l’iniziativa legislativa, finora di competenza della Commissione.
Tra le idee emerse dalla Conferenza vi era quella relativa a dare seguito “permanente” al dibattito avviato fra cittadini e istituzioni: ma dal Consiglio europeo nessun cenno a riguardo.
Ora, occorre riconoscere che la stessa Conferenza sul futuro dell’Europa non è stata, negli scorsi 12 mesi, il primo pensiero dei 440 milioni di cittadini Ue.E che la partecipazione si è limitata a qualche migliaio di persone, pur seriamente impegnatesi per il rilancio del processo di integrazione nel nuovo scenario in cui ci troviamo. Va pur detto – spezzando una lancia per il Consiglio, dove siedono i 27 capi di Stato e di governo – che i leader Ue si trovano in mezzo a problemi gravi e urgentissimi, tali da far pensare che la riforma Ue possa attendere qualche tempo. Ma sono proprio le immani sfide cui l’Europa tutta si deve confrontare che richiederebbe un salto di qualità in chiave di unità europea.
Da un documento riservato, riconducibile al Segretariato generale del Consiglio, circolato all’indomani del summit della scorsa settimana (di cui il Sir ha potuto prendere visione), si apprende che la Presidenza ceca, in carica per un semestre dal 1° luglio, avvierà discussioni sul lavoro di follow-up della Conferenza mediante riunioni del Consiglio Affari generali. Si apprende, inoltre, che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen intende presentare iniziative relative alla Conferenza nel suo prossimo discorso sullo stato dell’Unione a settembre. La Commissione dovrebbe garantire che i risultati della Conferenza sul futuro dell’Europa siano integrati nel programma di lavoro della Commissione per il 2023. Nell’autunno 2022 sarà poi organizzato un evento di restituzione, un’opportunità per Consiglio, Parlamento e Commissione di comunicare ai cittadini il seguito della Conferenza.

Non da ultimo, è possibile aggiungere una sottolineatura rispetto al futuro cammino dell’Ue.

Appare infatti sempre più improbabile che svolte significative possano giungere con un accordo “a ventisette”. In questo senso va riconsiderata, con atteggiamento pratico e lungimirante, l’opportunità delle “cooperazioni rafforzate”, ovvero un nucleo più integrato di Paesi che avanza sul cammino dell’unità, aperto a chi si volesse aggiungere, in grado di dimostrare anche agli altri Stati che questa via è percorribile e utile (tenuto conto che le cooperazioni rafforzate sono da tempo una realtà, come nel caso dell’euro).
Ebbene, l’Ue (le sue istituzioni, gli Stati membri, i suoi popoli) è a un tornate storico, come altri ne ha affrontati in passato. Può “cogliere l’attimo” oppure attardarsi in una melina poco vantaggiosa. I prossimi passi sveleranno quale direzione sarà effettivamente intrapresa.

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