Non erano certo queste le condizioni sperate e previste dalla Bce (Banca centrale europea) per avviare quell’inversione di tendenza dei tassi di interesse che era nell’ordine delle cose. Finisce in Europa, come è finita in altri Paesi (Usa in testa) quella lunghissima fase di “denaro a basso costo” che intendeva rilanciare le economie, poi sostenere gli sforzi collettivi nei due anni di emergenza sanitaria globale. Con i prezzi già in ebollizione, è arrivata in Europa la sanguinosa invasione dell’Ucraina.
Dal 21 luglio la Bce opererà, dopo 11 anni, il primo cambio di direzione aumentando il costo di denaro ufficiale di 25 punti base. Imprese e famiglie dovranno fare meglio i conti con il loro indebitamento (ad esempio nei mutui a tasso variabile già avviati o da avviare) mentre chi ha del risparmio da investire potrà spuntare qualche rendimento migliore. Sicuramente non tale da contrastare l’erosione da inflazione, con un aumento di merci e servizi che, secondo la Bce, correrà quest’anno a un ritmo medio del 6 per cento. Per le imprese la richiesta di nuovi finanziamenti comporterà maggiori costi da interessi.
L’economia sta rallentando, i consumi sono più prudenti, la nuova occupazione non sarà quella sperata dopo la lunga compressione da pandemia.
In tempi normali la mossa delle banche centrali equivarrebbe a un freno alla crescita disordinata, a quell’aumento dei prezzi che fa perdere valore alle monete perché da un mese all’altro con gli stessi soldi si comprano meno beni e servizi.. Ma non siamo in tempi normali. Anche i migliori propositi dei banchieri centrali si scontrano con shock sanitari, geopolitici, terroristici di difficile previsione. L’idea che l’economia possa essere totalmente guidata dai tassi di interesse è irrealistica. La Bce puntava a un’inflazione “buona” al 2% e se tutto andrà bene sarà del 3,5% nel 2023 e del 2,1% nel 2024. La presidente della Bce, Christine Lagarde, ha previsto per l’8 settembre un secondo aumento dei tassi ufficiali, ma in questo momento nessuno è in grado di dire se sarà un altro 0,25% o addirittura 0,50 per cento in caso l’inflazione non dovesse rientrare nelle prossime settimane. Ma chi è in grado di stimare il prezzo dell’energia dei prossimi mesi? O dei prodotti alimentari spinti verso l’altro da costi di produzione e trasporto. con indispensabili partite di grano tenute in ostaggio dalla guerra?
Infine, l’Italia rischia di essere una storia particolare all’interno delle turbolenze generali. Resta uno dei Paesi più indebitati e, senza più gli abbondanti acquisti di sostegno della stessa banca centrale, i suoi titoli di Stato (Btp e altro) vengono ora prevalentemente venduti dagli investitori istituzionali (banche, assicurazione, fondi pensione). La Bce teme una disparità delle condizioni finanziarie all’interno della zona euro. Promette interventi a favore del contenimento degli spread ( cioè la differenza di rendimento tra titoli decennali pubblici dei vari Paesi, un indicatore di credibilità finanziaria). Ma in che modo non è ancora chiaro.