La chiamiamo Olga e non possiamo dare troppi dettagli sulla sua vita, per non metterla in difficoltà. Il Sir l’ha raggiunta al telefono nella sua casa a Mosca, per avere la testimonianza di come vive nella capitale della Federazione russa chi è contro la guerra e non può o non vuole andare via. Olga lavora anche per una Ong internazionale – anche questa ci è stato chiesto non fosse resa identificabile – e insegna psicologia in una facoltà universitaria. Impotenza, attesa, paura sembrano essere i tratti di un tempo che è iniziato già ben prima del 24 febbraio, giorno in cui è solo “caduta la maschera”, dice Olga, che precisa: cancellerà dal suo telefono ogni riferimento ai contatti avuti per questa intervista perché “la polizia ora ferma le persone per strada e chiede di vedere le chat di whatsapp e telegram”.
Perché tu non hai lasciato il Paese?
I miei genitori sono anziani e mia mamma è molto malata. Fino a quando non cadrà qualcosa su Mosca staremo qui. Non sappiamo che cosa succederà nel giro di qualche mese. Per questo durante i fine settimana andiamo alla dacia e usiamo tutto il nostro tempo libero per piantare la verdura e persino le patate. Prima era un hobby, adesso iniziamo a pensare che potrebbe aiutarci se arrivasse la fame.
La vita è più cara?
I prezzi sono raddoppiati. E noi riceviamo tutti i giorni tante email di gente che non ha più soldi per pagare affitti e bollette, e magari hanno figli e sono in una situazione terribile. E gli aiuti statali sono troppo esigui e ristretti: si considera che 200 euro al mese sia uno stipendio sufficiente, ma con il pane a un euro al chilo, come oggi, non basta. Così come gli aiuti sono rivolti a un ristretto numero di cittadini e la maggior parte della gente non rientra nei criteri sufficienti per ottenere assistenza
E gli stipendi?
I salari russi calano; in più i numeri della disoccupazione sono schizzati. Anche la nostra ong, che riceve denaro dall’estero per pagare gli stipendi, con il corso attuale del rublo non riesce ad aumentare gli stipendi.
Che clima c’è in giro per Mosca?
È una città molto caotica, la gente va veloce, ci sono 20 milioni di abitanti, più o meno l’atmosfera è sempre la stessa. Devo dire però che prima, quando ero in macchina, molte persone mi mostravano approvazione per il mio adesivo “libertà a Navalny”. A marzo vedevo che molti mi guardavano sorpresi e spaventati – chi è così coraggioso lì – poi ad aprile, qualcuno ha lanciato delle uova sull’adesivo e pochi giorni dopo hanno imbrattato la maniglia della porta con una specie di acido, che mi ha corroso la mano.
Invece nel paese dove io vado spesso, alla periferia di Mosca, non sembra sia successo nulla, se non per il fatto che sulle porte della scuola adesso c’è una grande Z bianca; la scuola è su una collina e quindi tutti la possono vedere. Cose del genere a Mosca non si vedono.
E capita a volte di vedere la gente che protesta?
Ce ne sono, ma molto pochi. Anche io ci sono andata all’inizio: cose molto semplici, come un cerchio tenendoci per mano. Ma adesso se vai con un foglio di carta o qualsiasi cosa, dopo un attimo arriva la polizia arriva e ti porta alla stazione di polizia, ti fa un verbale, magari dopo averti trattenuto per tanto tempo senza nemmeno un po’ d’acqua e averti anche picchiato. E quindi non si può fare niente, si sta a casa. Nemmeno su internet si può più scrivere nulla. I social che non sono vietati sono controllati dalla polizia.
E allora come fai a stare collegata alle persone che sono contrarie, come te?
Non possiamo farlo. L’unica cosa che possiamo fare è vedere dei video su youtube, che ancora è accessibile. Nessuno più vuole scendere per strada. Ma forse le cose cambieranno. Non adesso, magari tra dieci anni. Quando vado in giro in macchina e vedo le Z intorno a me – perché tante persone le attaccano alle loro macchine – mi accorgo di quanto è diffuso un certo spirito patriotico. È frustrante, mi fa arrabbiare.
Le cose sono cambiate in Russia dal 24 febbraio o la situazione era così pesante?
C’è una canzone degli Splean, un gruppo rock russo, di cinque anni fa o forse anche più, “Diteglielo ad Harry Potter se per caso lo vedete”, che descrive quello che da anni continuiamo a vivere. È da un anno, un anno e mezzo che i russi sono diventati più aggressivi, frutto di tutto quello che gli è stato inculcato: che siamo speciali, che abbiamo il nostro modo di vivere, che dobbiamo costruire la nostra potente Russia, che tutti ci odiano. Il 24 febbraio la maschera è caduta e tutti hanno visto il vero volto della Russia.
Nel tuo lavoro di docente di psicologia, è cambiato qualcosa?
Al momento no. So che il decano fa degli incontri per divulgare “la propaganda”, ma io non partecipo mai. Per il resto ci hanno chiesto di scaricare da YouTube tutte le nostre video-lezioni, ma non hanno spiegato il perché. Forse perché potrebbe essere chiuso, da un momento all’altro, come potrebbe accadere anche per Google, come è già successo con Facebook, Instagram e Twitter. Anche se abbiamo tutti le nostre mail e documenti su quella piattaforma, sarebbe complicato.
Che speranza hai per il futuro del tuo Paese?
C’è paura nel Paese e la paura ci ricopre tutti, tanti sono andati via, altri cercano di lottare, ma tutti abbiamo paura di essere fermati, portati alla stazione di polizia e torturati, come avveniva nel ‘37. Allora stiamo fermi e aspettiamo che il “grande padre” muoia o qualcosa del genere. La speranza è di riuscire un giorno a ripagare per il peccato di tutte le morti e il male di questi mesi in Ucraina e nel mondo. E poi speriamo in una nuova Russia libera da tutto questo.
Come funzionano le vostre connessioni con il resto del mondo?
Siamo una ong che riceveva già prima soldi da sponsor stranieri, tra cui anche la commissione europea, e per questo lo Stato aveva smesso di sostenere i nostri progetti sociali. Adesso la situazione si è complicata per i finanziamenti, anche se al momento non tutte le banche russe sono bloccate dalle sanzioni e quindi non siamo limitati in questo. Noi abbiamo ricevuto tanto appoggio, comprensione e solidarietà dalle altre sezioni della nostra organizzazione. Ma dobbiamo essere attenti a come ci comportiamo. Alcuni nostri operatori hanno già dovuto lasciare il Paese perché persone non gradite. E ci sono circa 500 ong in Russia che si sono espresse contro la guerra e che lo Stato adesso non sostiene più.
Tu sei un’ortodossa: che cosa ne pensi della posizione della tua Chiesa rispetto alla guerra?
Io non sono tanto addentro, ma credo che la Chiesa sia il posto dell’amore, non della guerra e non dovrebbe essere coinvolta nella politica. Purtroppo sappiamo che in Russia la Chiesa è strettamente connessa al potere e le cose che fanno non sono troppo cristiane. Ci sono però comunità che pregano per la pace e per la fine della guerra. E lì io trovo pace.