Assuefazione

Il rischio è quello di farci l’abitudine. Ci riferiamo alla guerra in Ucraina, in particolare. Dal 24 febbraio a oggi l’attenzione è andata via via scemando. Sia la nostra, sia quella internazionale. Entrambe sono diminuite moltissimo. Le difficoltà economiche create dal conflitto in atto rimangono, in specie per quel che riguarda l’approvvigionamento di materie prime, ma il tema non è più prioritario per l’opinione pubblica. Scriviamo queste frasi con un certo timore.

(Foto SIR)

Il rischio è quello di farci l’abitudine. Ci riferiamo alla guerra in Ucraina, in particolare. Dal 24 febbraio a oggi l’attenzione è andata via via scemando. Sia la nostra, sia quella internazionale. Entrambe sono diminuite moltissimo. Le difficoltà economiche create dal conflitto in atto rimangono, in specie per quel che riguarda l’approvvigionamento di materie prime, ma il tema non è più prioritario per l’opinione pubblica. Scriviamo queste frasi con un certo timore.

Spiace metterlo nero su bianco e spiace anche doverlo ammettere. Gli ucraini non sono più in fuga dal loro Paese. Anzi, diversi tra quelli che avevano preso la via dell’Italia stanno tornando indietro. Anche l’accoglienza non è più così calorosa e la materia non occupa più le prime pagine dei giornali e dei tg. All’idea di una guerra in piena Europa ci stiamo abituando e non ci impressionano più le notizie delle bombe sul Donbass e sulle città prese di mira dalle truppe schierate da Putin.

Si è ridotta, e non di poco, anche la catena della solidarietà. Dal grande slancio di vasta partecipazione che ha visto l’Italia in prima fila per aiuti umanitari e per l’ospitalità a chi fuggiva da una nazione in fiamme, siamo arrivati ora a una sorta di assuefazione che non avremmo immaginato anche solo un mese fa. Sì, è vero, si fa il callo a tutto, anche alle più grandi calamità naturali, ma qui siamo di fronte a un popolo aggredito da uno Stato confinante, senza un apparente motivo. Le ragioni per soccorrere e per gli aiuti rimangono tutte, ma qualcosa nell’aria è cambiato.

Bisogna avere il coraggio di ammettere le proprie responsabilità. I bisogni permangono, i viveri scarseggiano, le medicine non ci sono, anche l’acqua è un bene necessario di cui a migliaia, in Ucraina, avvertono la mancanza. Ma l’estate è ormai alle porte. Il caldo forte si è già fatto avvertire e i pensieri vanno con maggiore facilità alle vacanze che non a chi si trova in ambasce nel grande Paese a ridosso della Russia.

Qualcuno tra noi, più tenace, ci prova a resistere e mantiene alta l’attenzione verso fratelli che hanno tante necessità. L’emergenza non va in vacanza e neppure la solidarietà, quella vera, quella che si spende 365 giorni all’anno e non è frutto dell’emozione.

Lo sanno bene quanti operano con la Caritas, la San Vincenzo de Paoli, le Misericordie. Lo sanno le famiglie che ospitano quanti sono fuggiti dagli attacchi aerei. Lo sappiamo anche noi. Speriamo solo di non dimenticarlo.

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