“Avevo paura di dover rimanere in Russia per sempre, se avessero chiuso il confine, ma ora sono ad Aachen e sono al sicuro”. Racconta così al Sir, Viktor Khroul, 58 anni, che insegnava etica dei media alla National school of economics, a Mosca, e invece ora si trova nella città tedesca grazie a una borsa di studio del Catholic Academic Exchange Service (Kaad) per un progetto al Catholic Media Council. È stata “una cintura di salvataggio mentre ero nei guai”. Era andato a trovare la sorella in Bielorussia, a inizio marzo, e poi sentendo della nuova legge che modificava il codice penale per punire chi parla male “dell’operazione speciale in Ucraina”, ha deciso di attraversare il confine verso la Lituania, senza tornare a Mosca.
Che prospettive ha professore?
Ho mandato un sacco di lettere in giro per candidarmi in diverse istituzioni accademiche e cattoliche. Per ora niente, ma sono ottimista. C’è il fatto che gli accademici che sono scappati dall’Ucraina hanno la priorità e molte risorse sono destinate a loro. Ma la guerra finirà e loro torneranno alle loro istituzioni; per i russi e i bielorussi invece la situazione rimarrà difficile perché non ci sono segnali che questo regime crolli presto e quindi non ci sono possibilità di rientrare. Se non troverò niente, andrò dai miei figli e saranno loro ad occuparsi di me.
Di tornare in Russia non se ne parla?
Forse mi lascerebbero rientrare ma poi sarei inserito nella lista nera e non mi lascerebbero più uscire; in considerazione del fatto che io ho sempre espresso apertamente le mie posizioni, potrebbero portarmi in tribunale. Da febbraio, 150 giornalisti sono a processo. Tre miei colleghi sono in prigione adesso. Detestavo pensare di non tornare più in Russia, ma ora è un’ipotesi che faccio sempre più spesso. L’unica possibilità per tornare è che cambi il potere, la situazione e che gli articoli del codice penale che sono stati inseriti a marzo vengano tolti.
Sa dire quanti accademici hanno lasciato il Paese?
I numeri – provvisori – viaggiano tra i 15 e i 20mila, ma al di là dei numeri – che credo aumenteranno – ci sono sempre meno possibilità di restare in Russia e avere un lavoro che non richieda di dover manifestare la propria lealtà al potere. Ho l’impressione che stiamo tornando non solo al tempo di Bresnev, quando si poteva in alcuni ambiti fare ricerca senza implicazioni ideologiche, ma al tempo di Stalin quando si doveva esprimere esplicitamente il sostegno al governante. La situazione sta così evidentemente peggiorando, che molti vorrebbero emigrare, soprattutto le persone istruite, ma siccome molti consolati non lavorano, è difficile avere i visti. E sono pochi i Paesi che accolgono i russi senza visti: Emirati, Kazakhistan, Israele, Turchia, Georgia e Armenia. Aggiungo che le università russe, che negli ultimi due anni hanno fatto lezioni a distanza, si sono accorte che tanti docenti erano all’estero. Per decisione del governo ora improvvisamente si è deciso che bisognava tornare in presenza, e chi non si ripresenta in università è licenziato.
E i movimenti di dissidenza che stanno lottando in Russia che destino hanno?
È di grande significato e valore questa resistenza. Ci sono persone coraggiose, che mentre manifestano sono arrestate, multate, processate. È un segnale per il resto del mondo che sì, ci sono dei russi contrari alla guerra, ma in termini di peso politico e di possibilità di cambiamento, non penso possano fare nulla. È sempre difficile spiegare agli occidentali quanto la propaganda sia efficace in Russia. Se c’è un gruppo di studenti che si mette a protestare, la gente intorno a loro urla slogan in sostegno della guerra. Con grande dolore devo ammettere che è abbastanza vicino al vero che il 75% della popolazione sostiene il presidente e la guerra in Ucraina; chi è in disaccordo è una minoranza e non ha alcuno strumento politico per avere impatto sul destino della Russia. E quindi a fronte del rischio che comporta il restare, tutti quelli che possono lasciano il Paese, prima che chiudano le frontiere, come ogni tanto si sente dire in giro che stia per avvenire.
Come potranno allora accadere dei cambiamenti?
Nella storia i cambiamenti sono avvenuti in tanti modi diversi. I miei colleghi dell’Occidente pensano al colpo di Stato ma io sono pessimista rispetto a questa possibilità. Per altro, le figure attuali sono molto leali al presidente, e si sono già macchiati del crimine della guerra, sia ora in Ucraina, che prima in Crimea e quindi se saliranno al potere saranno comunque leader problematici, dal punto di vista occidentale. Il presidente è riuscito a costruire un sistema così tremendo, che se non lui, il suo successore riprodurrà gli stessi valori, approcci, meccanismi. Io non penso che possa arrivare al potere una figura più democratica che inneschi un cambiamento significativo. Però penso che storicamente, i dittatori sono stati rimossi in modi diversi e con diversi scenari. Non so quale sarà il destino della Russia, non sono un analista politico, ma vedo che al momento non ci sono segni evidenti di cambiamenti possibili.
Quindi non c’è speranza di democrazia per la Russia?
Tutto il concetto di democrazia è molto compromesso adesso, non è uno slogan con valore positivo, ha connotazioni negativi. La gente preferisce l’ordine, un mano forte, a discapito delle libertà democratiche. La Russia è condannata a essere governata così. E questa è la ragione fondamentale del fatto che i miei colleghi occidentali non mi capiscono e mi invitano a tornare in Russia per contribuire alla rivolta, ma i russi non vogliono la caduta di Putin. Fino a che i russi non capiranno che cosa è bene e che cosa è male, sarà impossibile cambiare le cose. Qualsiasi rivoluzionario che arrivasse al potere si troverebbe davanti la stessa gente. Abbiamo fatto l’esperienza della Perestrojka con tante speranze di un cambiamento in meglio, ma il problema principale della Perestrojka sono stati i cittadini della Federazione russa, perché non hanno mai sperimentato la libertà e quando è arrivata, erano frustrati perché non sapevano che farsene. Infatti 10 anni dopo hanno appoggiato il signor Putin, per il bene della stabilità, del lavoro, di salari bassi ma stabili e di fatto tornando all’Urss.
Come valuta la posizione della Chiesa ortodossa?
La gerarchia sta compiendo un’operazione di sacralizzazione della guerra: lo si vede nelle frasi del patriarca e di tanti metropoliti e questo ha un impatto tremendo sulla società. Se qualcosa è considerato sacro, non lo si discute più, non lo si critica più, non lo si mette in dubbio. È pericoloso per una Chiesa cristiana sostenere un processo così palesemente ingiusto come la guerra. Ci sono state voci critiche, come i 300 sacerdoti hanno scritto una lettera contro la guerra. Anche il vescovo di Lituania all’inizio ha criticato la guerra, ma poi, per motivi sconosciuti, ha cambiato le sue posizioni e adesso ha punito diversi sacerdoti in Lituania.
Invece come le sembra si stia muovendo la Chiesa cattolica in Russia?
I cattolici hanno una posizione più semplice, perché si sono potuti schierare con il Papa e hanno potuto citare le frasi di Francesco e la dottrina sociale della Chiesa. Non c’è comunque una valutazione univoca della situazione nemmeno tra i cattolici, anche se in maggioranza la leggono in maniera corretta. E il loro silenzio, il loro non sostenere la guerra e non fare dichiarazioni politiche è positivo, un utile modus vivendi. Rischierebbero di essere perseguitati ed espulsi. C’è stato il caso di un sacerdote, il parroco di San Pietro e Paolo a Mosca, don Fernando Vera, un messicano da 15 anni in Russia, che prima di Pasqua si è visto cancellare il suo permesso di soggiorno e in due giorni ha dovuto lasciare il Paese, senza spiegazioni specifiche per una tale decisione. Era un parroco molto attivo e molto amato dai parrocchiani. Se il clima di caccia alle streghe diventa dominante nel Paese, come invocato dal presidente Putin, nel suo happening di marzo, allora i cattolici – che pure in maggioranza sono persone che hanno il passaporto russo – diventano un bersaglio facile, dal momento che la religione cattolica non è citata nella legge sulle religioni del 1997 come religione tradizionale della Federazione. E i vescovi e i sacerdoti cercano non si ripeta la situazione delle persecuzioni staliniste.
Che cosa sta facendo la dissidenza all’estero? Vuole una evoluzione per i futuro della Russia?
Ci sono tanti spazi virtuali, su YouTube o Telegram. Il principale contributo è trovare un modo per rendere le persone consapevoli di che cosa sta succedendo. Molti giornalisti che hanno lasciato la Russia hanno aperto loro canali social e quotidianamente fanno analisi e danno notizie. C’è tanto materiale sulla rete e ci sono tante discussioni, anche sulle sanzioni (che colpiscono soprattutto la classe media) oppure sull’esclusione dei russi dalle collaborazioni scientifiche: episodi come quello del Cern, che ha annullato tutti i contratti con i russi, o l’appello di Zelensky a non rilasciare visti ai russi fanno soffrire. Le persone criticano non solo quello che succede in Russia, ma anche le cose che succedono in Occidente rispetto alla Russia, e che a volte non sono molto ben pensate. È comunque un movimento molto vivace e attivo, un po’ come quello che si era creato dopo la rivoluzione bolscevica del 1917.