Il 9 maggio è stato giorno di festa a Est e a Ovest dell’Europa. Sulla Piazza Rossa a Mosca, truppe schierate e irreggimentate, con uomini e donne resi tutti uguali nelle loro divise, all’unisono hanno urlato “Urrà” al generale che, in ricordo dell’annuncio di 77 anni fa, tornava a proclamare la vittoria sul nazismo. Nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, giovani e meno giovani, colorati e in movimento, ciascuno a proprio modo animava la performance “Danse l’Europe” del coreografo Angelin Preljocaj sulla musica di Jeanne Added, aprendo così l’evento che ha segnato la conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa, nel giorno in cui i cittadini europei ricordano l’inizio di una storia nuova, di pace, democrazia, diritti e libertà per il continente. Una volta di più, la diversità di scelte e di destini tra Est e Ovest dell’Europa è emersa con evidenza, anche sul piano della rappresentazione simbolica.
L’evento di Strasburgo ha formalmente concluso un percorso di un anno:
la Conferenza, proposta nel 2019, poi rimandata a causa della pandemia, lanciata il 9 maggio 2021 in mezzo a tante incertezze, è stato lo spazio pensato dalle istituzioni europee per dare ai cittadini la possibilità di esprimere i propri desideri ed idee rispetto al futuro dell’Ue. E in un anno 800 persone, scelte a caso, in dialogo tra loro e con i rappresentanti delle istituzioni europee, dei parlamenti nazionali, della società civile, sono riuscite a mettere in fila 45 raccomandazioni e 300 proposte che tratteggiano il volto dell’Ue del futuro. Tutto questo lavoro ieri è stato ufficialmente messo nelle mani dei responsabili delle istituzioni europee, che da qui in poi dovranno lavorare per far sì che le proposte diventino realtà.
Un esperimento che sembrava impraticabile, per la brevità del tempo a disposizione, per la diversità dei protagonisti, per le troppe lingue e i troppi temi, di fatto ha prodotto un risultato.
“L’eterogeneità non è stata un ostacolo, siamo entrati in sintonia”, ha detto la 23enne italiana Laura Maria Cinquini, una dei cittadini che hanno preso la parola in emiciclo per presentare e commentare sinteticamente le proposte. Horge Pazos, dalla Spagna, ha persino detto, che dopo nove fine settimana dedicati in questo anno alle riunioni della Conferenza, “l’emiciclo è diventato la mia seconda casa”. Due cose principali i cittadini ieri hanno detto ai leader europei: la prima, “abbiamo fiducia in voi”; e poi, “ora assumetevi senza sconti, compromessi, scuse e distorsioni la responsabilità politica di realizzare l’Europa che i cittadini si attendono”.
I leader europei si sono dichiarati soddisfatti di questo esperimento di “democrazia partecipativa”:
la commissaria Dubravka Suica ha dichiarato che “la democrazia europea non sarà più la stessa” dopo l’esperienza della Conferenza e che “mettere i cittadini al centro è stata la scelta giusta”. Per l’eurodeputato Guy Verhofstadt (Parlamento europeo) “non c’è contraddizione tra democrazia partecipativa e rappresentativa”, ma anzi, la partecipazione è “un antidoto alle divisioni”. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha addirittura anticipato che proporrà di dare in futuro “a panel di cittadini il tempo e le risorse per formulare raccomandazioni prima di presentare proposte legislative chiave”.
Quale Ue del futuro hanno tratteggiato i cittadini?
Sostanzialmente un’Ue dove ci sia più solidarietà, più concertazione, più condivisione, più decisione nel mettere in atto decisioni e intenti già da tempo dichiarati. I cittadini non hanno estratto nessun coniglio dal cilindro. Tra le proposte ci sono addirittura richieste su cui l’Ue sta già lavorando, come delicatamente la presidente Von der Leyen ha evidenziato nel suo intervento. È emerso anche in questa esperienza, come già alle elezioni europee del 2019, che le idee e le voci populiste e nazionaliste disgreganti di fatto non hanno la capacità di far convergere consensi e diventare proposta concreta. Alcune di queste voci urlano al complotto: la scelta dei cittadini non sarebbe stata “random”, ma mirata, coinvolgendo così solo europeisti convinti. Si può forse ipotizzare che abbiano accettato di far parte della Conferenza solo quelli che credono nel progetto europeo: la “colpa” in questo caso sarebbe solo degli assenti.
Se la Conferenza ha finito il suo lavoro – in realtà è ancora previsto un evento in autunno per chi vi ha partecipato, per fare una sorta di bilancio – quello che il 9 maggio è avvenuto a Strasburgo non è stato un atto conclusivo, ma un semplice passaggio del testimone. Ora la politica deve fare il suo mestiere. La presidente Von der Leyen ha anticipato che nel suo discorso sullo Stato dell’Unione a settembre annuncerà “le prime nuove proposte” che rispondono alle richieste dei cittadini. Anche Emmanuel Macron, per poche settimane ancora a guida della presidenza del Consiglio Ue, si è impegnato affinché nei prossimi Consigli si affrontino le proposte dei cittadini che “non necessitano di una riforma istituzionale”.
Nel rapporto conclusivo, ci sono però alcune richieste che vanno oltre l’attuale architettura dell’Ue: una in particolare, che tanto limita la velocità del cammino dell’Unione, è quella del superamento dell’unanimità in sede di Consiglio europeo su temi come la politica estera. Macron ha anche prospettato un disegno dell’Ue dalle “differenziazioni aperte”, di Paesi che viaggiano a “velocità diverse” in modo strutturalmente possibile nell’Ue. A sentire Roberta Metsola, Ursula von der Leyen e Emmanuel Macron, la revisione dei Trattati appare scelta quasi scontata nei prossimi mesi. Nella realtà dei fatti è tutto da vedere. Le esperienze passate di Convenzioni e revisioni non sono incoraggianti e a livello di governi il consenso non pare essere meta facilmente raggiungibile sulle materie fondamentali.
Con forse troppo entusiasmo, la commissaria Suica ha affermato che “la democrazia europea fa più rumore delle bombe di Putin”: nell’emiciclo a Strasburgo, dove in tanti punti c’erano simboli blu e gialli, in realtà l’ombra della guerra è tornata in tanti discorsi e ha contenuto l’entusiasmo. Sulla Piazza Rossa invece non sono riecheggiate parole democratiche. Per far cadere le bombe ci vuole un ordine impartito da una voce prepotente. Per far crescere la democrazia, ci va la perseveranza e la pazienza di un popolo.