La tensione è alta e pure l’escalation è iniziata. Ma per ora è in una fase controllata. Al Sir Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation, fra i massimi esperti italiani di geopolitica, spiega e traduce il significato di alcuni dei fatti avvenuti nelle ultime 24 ore: il summit di portata storica nella base degli Stati Uniti di Ramstein in Germania, dove i ministri della Difesa di 43 Nazioni hanno deciso l’invio di ulteriori armi all’Ucraina, le dichiarazioni sulla minaccia nucleare del ministro degli esteri russo Serghei Lavrov, la chiusura del rubinetto del gas da parte di Mosca per Polonia e Bulgaria. L’attenzione del mondo è tutta sui confini Est dell’Europa, ma l’occhio dovrebbe essere sul Pacifico, dove Cina e Stati Uniti non possono commettere passi falsi. Avverte Politi: “è quella la polveriera per una nuova guerra mondiale”.
L’incontro nella base Usa di Ramstein che effetti produrrà?
Il summit di ieri vuole coordinare una serie di Paesi, partner della Nato e non, come ad esempio il Kenya, per soddisfare le richieste dell’Ucraina in merito all’invio di armamenti pesanti. L’incontro prevede delle riunioni mensili e la costituzione di un gruppo di contatto permanente per la gestione delle decisioni sugli approvvigionamenti verso Kiev. Più che politico, il senso è logistico.
L’invio di armi pesanti non allontana ancora di più la fine della guerra?
La guerra rischia di allungarsi non solo per questo tipo di decisione. Il primo problema è la posizione negoziale fra Russia e Ucraina. Per fare la guerra basta essere da soli ma per fare la pace bisogna essere in due. L’invio di altre armi, almeno per ciò che sappiamo, dovrebbe permettere all’Ucraina di resistere contro l’offensiva russa nel Donbass. Questo non significa dotare l’esercito ucraino di armi in grado di lanciare una travolgente controffensiva. È chiaro che ai russi tutto ciò non piace. Hanno già detto che i sistemi d’arma rischiano di essere distrutti se attraverseranno la frontiera. È una risposta dura e concreta. Questo conferma la tensione di una guerra in corso. L’escalation è iniziata ma è tutto sommato per ora controllata. Anche controllata dal punto di vista degli americani.
La minaccia nucleare sta in piedi?
Il ministro degli esteri Serghei Lavrov in un’intervista di ieri a Channel One, il primo canale della tv russa, ha detto che non userà armi nucleari in Ucraina ma ha detto anche di stare attenti all’escalation. Le sue dichiarazioni sono inquietanti e mi preoccupano. Dice che tutte le regole anche non scritte dei tempi della guerra fredda sono cadute nell’oblio. Questo è un fatto molto preoccupante perché la gestione delle crisi nucleari impone regole condivise, rispettate e trasparenti.
Significa che non ci sono più garanzie?
Lavrov dice che il regime di gestione della deterrenza nucleare che prima aveva delle regole scritte e non scritte molto chiare adesso è divenuto molto incerto. Questo è molto preoccupante.
Mentre l’attenzione è tutta sull’Ucraina, lei spinge a guardare al Pacifico. È qui che teme lo scontro fra Cina e Stati Uniti. Perché?
Sì, è quella la polveriera per una nuova guerra mondiale.
La Russia non è in grado di preoccupare gli Stati Uniti. La Cina invece è una grande potenza economica e politica e pur essendo al di sotto sul piano militare impensierisce gli Stati Uniti. Questo è il vero problema oggi per la pace mondiale. Già dal 2004 ero preoccupato della possibilità, oggi della probabilità di una guerra fra Stati Uniti e Cina. Lo scenario è molto più preoccupante. Ognuno ha delle enormi fragilità. La guerra in Ucraina è una costosissima distrazione per Biden che come priorità ha la necessità di ricostruire il suo Paese diviso all’interno. Tra l’altro, si avvicinano le elezioni di medio termine e le prospettive per i democratici sono pessime. Bisogna poi farsi una domanda: perché a Putin dovrebbe convenire fare la guerra alla Nato? Non credo abbia questo interesse. La sua guerra in Ucraina l’ha già persa. La Russia è più debole della Nato in ambito di armamenti convenzionali, mentre ai tempi del Patto di Versavia era esattamente l’opposto.
Sempre ieri Lavrov ha incontrato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres che però non ha portato a nulla.
Un risultato diverso non sarebbe stato realistico. In politica estera non avvengono in questo modo i miracoli. Guterres ha continuato a esplorare delle possibilità. Almeno Guterres è tornato con le idee più chiare sulle difficoltà negoziali e sul contesto del rapport con gli Stati Uniti.
La Russia nel frattempo ha bloccato l’erogazione del gas a Polonia e Bulgaria.
È una reazione annunciata. Si può discutere se sia legale o no ma è avvenuto che il fornitore mettesse la condizione del pagamento in rubli e che il cliente abbia risposto di no. Questo non fa piacere a Sofia e Varsavia ma si sapeva che sarebbe andata a finire così.
Vedremo altre interruzioni quindi?
Non è detto. È interessante notare per esempio che a tutt’oggi il gas scorre ancora in Ucraina. I russi hanno tutto l’interesse specie in guerra a intascare i soldi dalla vendita del loro gas.
Il conflitto si sta espandendo, i russi si stanno spostando in Moldavia?
Non è realistico. La Transnistria è de facto protetta da Mosca e la Federazione russa non ha interesse ad attaccarla. Le esplosioni che ci sono state non hanno una paternità chiara. Bisogna vedere chi le ha messe e perché. La tensione c’è già, la guerra c’è già.