(Da Chișinău) In città la vita scorre tranquillamente. Dopo la pausa delle festività pasquali, la strade a Chișinău tornano ad essere trafficate come sempre all’ora di punta. Ma l’incognita sul futuro pesa e preoccupa. Si guarda a Odessa, nel sud dell’Ucraina, si spera nella capacità di resistenza di Mykolaïv. Segno poi della tensione crescente nell’autoproclamata repubblica della Transnistria, le forze di difesa della regione di Odessa hanno potenziato la protezione delle zone di confine con la Moldova. Il tutto si gioca su uno spazio ristretto di pochissimi chilometri dello scacchiere geografico della regione. Qui a Chișinău si fa fatica a parlare. La sensazione è che tutti sanno che la Moldova fa parte ormai del conflitto e la presenza delle truppe russe in Transnistria sono un pericolo per l’Ucraina, ma anche per Chișinău. Il fatto che “tutto sia possibile” non significa che la strada sia aperta ai russi, né che i moldavi si trovino in un vicolo cieco. Significa che le domande sul proprio futuro rimangono aperte. “Il clima è quello dell’incertezza e della paura, di non sapere cosa accadrà”, spiega mons. Cesare Lodeserto, vicario generale della diocesi di Chișinău. “Prima della paura delle bombe, qui c’è la paura per se stessi e per la propria situazione. Il ricco ha paura ma ha paura anche il povero”. Insomma, la Moldova non vede per ora nessun bombardamento ma è consapevole che sta cambiando qualcosa, che la situazione è in rapida evoluzione e l’esito potrebbe travolgere, forse per sempre, la storia democratica di questo Paese. Difficile fare le previsioni. Le recenti dichiarazioni del generale russo sulla formazione di un corridoio dalla Crimea alla Transnistria stanno avendo un inevitabile contraccolpo, per ora solo psicologico, sulla popolazione. Chișinău si sta muovendo con cautela massima lungo questo delicato crinale. La presidente Maia Sandu ha ribadito – e lo ha fatto anche nei giorni scorsi parlando all’ambasciatore russo – che la Moldova è un Paese neutrale e che intende rimanere fedele alla scelta della neutralità. È chiaro però che “il problema” Transnistria rimane “la grande incognita” e le notizie che arrivano sull’“allerta terrorismo” scattato a Tiraspol dopo le esplosioni degli ultimi giorni e la chiusura dei check point lungo “il confine” non fanno prevedere nulla di buono. “L’Europa, come sempre, paga il prezzo delle lunghe attese”, sentenzia mons. Lodeserto. “Sono 30 anni che la situazione della repubblica separatista si è cristallizzata e in 30 anni i problemi si sono sedimentati e nessuno ha mai avuto la volontà di affrontarli nel giusto modo”.
Sulla mappa ci sono anche i conflitti congelati in Ossezia del Sud, Abkhazia, Donetsk e Lugansk. Le loro bandiere sventolano, insieme a quella russa, sulla piazza principale di Tiraspol. Per l’Europa, affrontare queste ferite aperte sulla mappa della regione potrebbe significare una battaglia che durerà diversi anni, ma rimane l’unica via a questo punto da intraprendere.
L’altro volto del conflitto ucraino qui in Moldova è la “fame”. La presidente lo aveva detto fin dall’inizio, prevedendo un periodo difficile a causa anche della difficoltà di approvvigionamento del gas e di tutti i beni di prima necessità che solo fino a due mesi va arrivavano da Russia e Ucraina. L’inevitabile rincaro dei prezzi è forse la ferita più dolorosa che il conflitto ucraino finora ha inferto alla Moldova. Il 30% della popolazione vive sulla soglia di povertà. La ricchezza, come sempre, si concentra nel 10% della popolazione. Il resto è la società dei dipendenti statali e delle persone che vivono di rimesse dall’emigrazione. È il Paese delle badanti che rappresentano forse la voce più interessante del prodotto interno lordo. Lo stipendio medio nella capitale si aggira attorno ai 300 euro al mese. Fuori, nelle campagne, è la metà. Stipendi bassi a fronte di prezzi alti e in aumento. Il governo è stato costretto a intervenire sul pagamento delle fatture del gas concedendo la rateizzazione delle bollette nella speranza che la gente possa in questo modo procedere ai pagamenti. “La guerra non è solo un evento che distrugge un territorio”, osserva mons. Lodeserto. “È anche una tragedia che cambia la vita sociale di tantissima gente. È paura, angoscia, preoccupazione. Non dobbiamo aspettarci le bombe per dirci che siamo in guerra”.
L’azione di carità della diocesi di Chișinău si muove lungo due binari. Da una parte i rifugiati ucraini (100mila sono quelli attualmente presenti in Moldova); dall’altra i poveri, quelli di ogni giorno, quelli di sempre. È stata quindi presa “la linea dello scorrimento parallelo della risposta ai bisogni”. “La sfida oggi – osserva mons. Lodeserto – è conciliare le due crisi, altrimenti si rischiano conflitti sociali molto delicati e fratture che diventano poi pericolose. Non dimentichiamo che molti poveri sono legati al mondo sovietico. Gente che ha vissuto nell’Unione Sovietica, professionisti, oggi purtroppo ridotti in povertà, ma certamente vicini a quel mondo. Dobbiamo evitare tutto questo. La fraternità fra i poveri è per noi molto importante per portare tutti sulla stessa strada. Non possiamo creare differenze fra poveri, né di provenienza, né di nazionalità né di religione. Ma dobbiamo saper condurre tutti, ognuno nel giusto modo e in base alla sua particolare situazione, sulla strada della dignità”.