La pace e un cielo sicuro. Il sogno dei profughi ucraini in Bulgaria

Al confine tra Romania e Bulgaria, lungo il Danubio, arrivano ogni giorno 250 persone in fuga dalla guerra in Ucraina. Russe e Durankulak sono i principali varchi di frontiera e occorre organizzare una prima accoglienza. Mihov (direttore Centro di crisi): "i profughi sono traumatizzati. La loro prima domanda mentre varcano la porta è 'fino a quando possiamo restare?'". Nel campo Caritas, Oleg Jarov e Tetjana Lubanova, arrivati con i tre figli Evelina, Beatrice e Maxim, raccontano al Sir la loro storia

(Foto SIR)

Ogni giorno a Russe, città bulgara al confine sul Danubio, dalla Romania arrivano 250 ucraini in fuga dalla guerra. Molti altri giungono in pullman o con i propri mezzi. Il flusso passa da qui, dal nord-est, e Russe e Durankulak sono i principali varchi di frontiera. Il viaggio dall’Ucraina è lungo, non tanto per la distanza (tra Odessa e Ruse ci sono 655 chilometri) ma per le grandi file ai confini. Fino al 20 marzo oltre 100mila ucraini sono entrati in Bulgaria; la metà ha voluto rimanere nel Paese balcanico, che essendo il più povero dei membri Ue non è la prima scelta per gli ucraini.

“Fino a quando possiamo restare?”. “Gli ucraini rimangono stupiti dalla vita quotidiana, per loro è strano vedere la gente camminare per strada, usare i mezzi pubblici, perché anche se la guerra è cominciata meno di un mese fa, la loro vita è stata travolta”, racconta al Sir Georgi Mihov, direttore del Centro di crisi, allestito dalla Caritas Russe nei pressi della città. Gli ucraini vengono accolti alla stazione e alloggiati nel centro in attesa di trovare per loro una sistemazione permanente. “Sono traumatizzati – continua Mihov –. La maggior parte viene da Kharkiv o da Odessa, molti sono anche di origine bulgara, perché in Ucraina vivono 200mila bulgari”. “La loro prima domanda mentre varcano la porta è: fino a quando possiamo restare?”, spiega Mihov, aggiungendo che non c’è un limite di soggiorno.

C’è bisogno di tutto. “I profughi vengono aiutati in tutti i sensi, iniziando a trovar loro dei vestiti, molti infatti non hanno neanche un cambio appresso. E poi servono pannolini, giocattoli, materiale per l’igiene”, rileva il direttore del Centro. Il profilo delle persone è molto diverso: si va da professori universitari fino ad addetti alla pulizia. La stragrande maggioranza è composta da madri e figli, come il gruppo di Odessa, alloggiato nell’albergo Bistra e Galina di Russe. La ragazza alla reception, Kalina Grozeva, ci racconta che un’azienda della città aveva un ramo produttivo in Ucraina e le donne arrivare qui sono le mogli dei dipendenti. Tutte giovani, una incinta, un’altra con il neonato in braccio. Rimarranno in albergo finché non sarà trovata una sistemazione migliore in città.

La storia di Oleg e Tetjana. Nel centro della Caritas invece ci sono 27 ucraini, fra cui due famiglie numerose con i padri. I papà di famiglie con oltre tre figli possono infatti uscire dall’Ucraina. È la storia di Oleg Jarov e Tetjana Lubanova con i loro tre figli: la 14enne Evelina, Beatrice di 8 anni e il piccolo Maxim di 6 anni. Raccontano con rammarico la decisione di fuggire dal Paese, “le bombe cadevano tutti i giorni, vicino a noi è crollato un palazzo con 22 vittime”. Essendo di Odessa, loro comunicano in famiglia in russo mentre a scuola i ragazzi parlano ucraino. “Avevamo rafforzato le finestre – continua la madre, Tetjana – ma le sirene suonavano molto spesso e i figli erano terrorizzati”. Così si sono messi in macchina e sono arrivati a Russe dove sono dall’8 marzo, mentre la loro destinazione finale sarà la città bulgara di Pleven. Tetjana dice che “i ragazzi vorrebbero tornare a casa, gli mancano i due cani e il gatto lasciati ai nonni che essendo anziani non potevano viaggiare”. Il padre di Tetjana necessita un’operazione all’anca ma tutti gli interventi regolari a Odessa sono interrotti, si spera che presto possano riprendere.

(Foto Caritas Russe)

Gli amici di Mariupol. La famiglia Jarov è preoccupata anche per gli amici di Mariupol dei quali non hanno alcuna notizia da settimane. “Tutti i nostri amici con figli piccoli sono fuggiti – continua il suo racconto Tetjana –. Sono rimasti gli anziani e i malati. Ora si spera che i ragazzi potranno riprendere la scuola ucraina on-line, il servizio della didattica a distanza era attivo e centralizzato per la pandemia e dopo che i server sono stati portati fuori Kiev la scuola potrà funzionare di nuovo. La ragazza maggiore, Evelina, è abile nel disegnare, ma tutte le facce dei suoi disegni sono tristi. La famiglia Jarov, insieme a Marina e Mikola Ivanov, ha già avuto lo statuto umanitario con cui possono rimanere in Bulgaria. Intanto la gara di solidarietà non si ferma: nel pomeriggio arriva una donazione dell’ambasciata dell’Ordine di Malta in Bulgaria di giocattoli di ogni tipo e biciclette per i bambini. Chissà se riusciranno a lasciarsi alle spalle le tragiche esperienze appena vissute.
Nel salutarci gli ucraini, con lacrime agli occhi, ci augurano “Cielo di pace, cielo sicuro”.

 

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