Paura e lacrime ma anche l’incredulità di essere accolti gratuitamente. È il “volto” di chi fugge dall’invasione russa e si rifugia nella vicinissima Moldova. A raccontarci “la guerra” vista a pochi chilometri dall’Ucraina è mons. Anton Cosa, vescovo di Chişinău. Fin dai primissimi giorni del conflitto, la Chiesa cattolica in Moldova ha organizzato strutture e centri, oltre ad alcune parrocchie e appartamenti sociali, garantendo attualmente 390 posti letto.
È stata creata anche una rete familiare di solidarietà, dove singole famiglie si sono rese disponibili per l’accoglienza. Nei centri vengono erogati servizi di accompagnamento all’arrivo in Moldavia presso le frontiere ed alla partenza per le destinazioni preferite. È offerta un’assistenza psicologica e sanitaria ed una rete di informazione con i familiari rimasti in Ucraina e con quelli presso i quali i profughi intendono recarsi. Viene svolta anche un’opera di corretta informazione, perché “i profughi possano sfuggire a forme di sfruttamento, traffico di essere umani e adescamento di minori o donne sole”.
Mons. Cosa, com’è la situazione?
Il numero dei rifugiati è sempre in crescita. Da venerdì, per fortuna, è stato creato un punto comune di accoglienza moldavo-romeno, così che chi arriva con l’intenzione di proseguire per la Romania non vengono più a Chişinău ma partono direttamente per la Romania. Questo ha portato un po’ di sollievo visto che i nostri centri di accoglienza sono pieni. C’è anche una grande solidarietà e disponibilità tra la gente. Va anche messo in evidenza l’impegno delle autorità locali nell’affrontare il non facile problema dell’accoglienza, coordinando le diverse ong ed organismi di volontariato, tra i quali quelli della Chiesa cattolica.
In quale stato emotivo arrivano gli sfollati dall’Ucraina?
Sono andato ad incontrali e quello che ho visto è tanta paura. Ho raccolto anche tante lacrime. Ma anche tanta gratitudine per quello che stiamo facendo.Mi ha colpito la storia di una coppia di anziani che è stata accolta in uno dei nostri centri. Appena entrati, il marito ha subito detto di non avere soldi necessari per pagare. Il sacerdote allora lo ha tranquillizzato. “Fin quando voi sarete qui, sarete nostri ospiti”. È una testimonianza semplice che spiega molto bene cosa stiamo facendo.
Cosa vi preoccupa?
Non è facile affrontare queste masse di rifugiati. Tra l’altro stiamo anche seguendo la situazione ad Odessa, città dove si teme che da un momento all’altro possa essere attaccata. Ci stiamo quindi preparando ad accogliere masse di gente che parte da li e viene qui da noi.
Cosa è la guerra vista da Chişinău?
A Chişinău non si vede la guerra ma si vedono le conseguenze dalla guerra. C’è paura che dopo l’Ucraina, la guerra arrivi anche da noi. Devo però dire che i moldavi sono schierati in due direzioni. Ci sono i nostalgici del passato. E ci sono i giovani che invece hanno un indirizzo chiaro: Europa.
Ma se i russi dovessero arrivare in Transnistria, cosa succederebbe?
Se la Russia arriva in Transnistria, arriva anche in Moldova. È chiaro che non si fermano sulla riva del fiume Nistro ma proseguono fino a qui. Ma i moldavi non sono come gli ucraini. Non faranno guerra, non resisteranno. E la situazione sarà decisa per vie diplomatiche. Il Paese può essere occupato come la Crimea, con mani alzate, forse anche con gli applausi di quella parte che nostalgicamente sogna quel passato.
Vuole lanciare un appello?
Essendo così vicini geograficamente, stiamo seguendo e siamo anche vicini nella nostra preghiera e nella carità concreta. Vorrei anche dire una cosa: rimarremo conseguenti all’impegno preso. Perché arriverà un momento in cui con il tempo la società si stancherà di aiutare. Noi invece come chiesa ci saremo e andremo avanti fino in fondo. Non lasceremo indietro nessuno.
Quindi noi preghiamo e restiamo vigilanti perché non venga mai meno l’entusiasmo di testimoniare nella carità e nell’accoglienza il Vangelo.