Riunione della plenaria del Comitato economico e sociale europeo (Cese) oggi e domani a Bruxelles. Programma denso di dibattiti e di votazione sulle “opinioni”, cioè i documenti che questo organismo europeo consultivo, che raccoglie le voci delle parti sociali, redige all’attenzione della Commissione, del Parlamento e del Consiglio su temi di particolare delicatezza o attualità politica, per propria iniziativa o su richiesta della Commissione.
In questa plenaria, una delle opinioni approvate riguarda “l’impatto del Covid-19 sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto in tutta l’Ue e il futuro della democrazia”. Per discuterne, era presente ai lavori la vicepresidente della Commissione europea Věra Jourovà. “I valori europei, i diritti fondamentali e lo stato di diritto non sono negoziabili nemmeno in tempi di emergenza”, ha dichiarato la presidente del Cese Christa Schweng aprendo il dibattito. Concorde la commissaria Jourovà che ha elencato i criteri di fondo che i governi dovrebbero (o avrebbero dovuto) rispettare nel varare misure di emergenza: “limitate al necessario, proporzionate, chiaramente limitate nel tempo, in linea con le garanzie costituzionali nazionali, e rispettose degli standard europei e internazionali di riferimento; soggette a regolare scrutinio parlamentare, nel pieno rispetto dei poteri democratici”.
Ma da quanto emerso nelle due edizioni del Rapporto sullo stato di diritto nel 2020 e 2021, “nessun Paese è rimasto indenne” da erosioni democratiche, sebbene “con diversi livelli” per le misure di emergenza adottate. Tra i riferimenti citati le limitazioni alla libertà di riunione, manifestazione, di celebrazione o ancora lo sbilanciamento dei poteri o la libertà dei media. Nessun riferimento diretto ad alcun Paese se non l’Ungheria un paio di volte, il livello forse più grave di superamento dello stato di diritto. Da trattenere dalla pandemia quindi una lezione importante per il futuro, ha concluso Jourovà: le misure d’emergenza non dovranno più essere prese a spese dei diritti e libertà fondamentali.
Un tema che è stato toccato solo marginalmente negli interventi odierni, ma che di per sé non è così secondario nell’agenda europea di questi mesi è la Conferenza sul futuro dell’Europa (Cofoeu). Lo ha citato la presidente Schweng in apertura di lavori; ci ha scherzato la commissaria Jourovà: “Noi due”, ha detto rivolgendosi a Schweng, “continuiamo a essere convinte che ha senso chiedere alle persone come vogliono che sia il futuro dell’Europa”. Il processo di consultazione europeo volge alla conclusione della fase propositiva (l’11-12 marzo ci sarà l’ultima plenaria a Strasburgo). Delusione nelle parole di Schweng è stata espressa per il fatto che “dal punto di vista della società civile organizzata, sfide importanti non si riflettono nelle opinioni espresse dai panel di cittadini”. Ma quel che è cruciale, sarà “trasformare le raccomandazioni dei cittadini in proposte”, magari dopo aver fatto uno “screening per vedere quali raccomandazioni sono effettivamente già attuate, quali sono implementate ma scarsamente e quali richiederanno modifiche ai trattati”. Schweng ha poi riferito di aver ricevuto dai co-presidenti della Conferenza una bozza di documento sulla metodologia con cui affrontare le fasi finali: “Non prevede un ruolo né per il Cese, né per le parti sociali, né per il Comitato delle regioni”:
“Inaccettabile non avere voce in capitolo sui risultati finali del Cofoeu”, ha reagito la presidente che, insieme agli altri esclusi dovrà “vedere come assicurarci un ruolo più forte”.
In apertura di lavori, un riferimento alla crisi ucraina, da parte della presidente per dire che “è necessario mostrarsi uniti ed essere assolutamente chiari nel rispondere con prontezza e fermezza” alla mossa compiuta dal presidente Putin. “L’escalation militare sta già creando conseguenze economiche e sociali pesanti e mettendo in pericolo il popolo ucraino. L’Europa deve essere al fianco dell’Ucraina e della sua società civile”.