“Viviamo in questa situazione di guerra da molto tempo ed è per questo che siamo in qualche modo abituati alla minaccia delle armi. Come cristiani, non abbiamo paura perché Dio è con noi e preghiamo Dio ogni giorno, ad ogni liturgia, perché sostenga la pace. Ma dal punto di vista umano, abbiamo paura perché ci troviamo a vivere in una condizione difficile. E’ difficile capire cosa sta succedendo, è difficile sapere se e soprattutto quando le armi ci colpiranno”. A parlare è don Sergio Palamarchuk, parroco di Lysyčansk, nella regione di Lugansk e di Muratove, un villaggio che si trova a 5/7 chilometri dalla linea del conflitto. “Noi non vogliamo la guerra”, dice il sacerdote della chiesa greco-cattolica ucraina, raggiunto telefonicamente dal Sir. “Abbiamo la speranza. Abbiamo la speranza nella forza di Dio che è con noi. E abbiamo la speranza nella forza della diplomazia internazionale. Sappiamo che molti capi di Stato, molti ministri e esperti in diplomazia, stanno lavorando per noi, per la pace”.
Nonostante i tentativi di mediazione delle diplomazie occidentali e russe, i colloqui e le telefonate tra i capi di governo, resta alta la tensione qui, al confine tra Russia e Ucraina. “A Lysyčansk – racconta il sacerdote – si sentono i rumori delle armi ma per fortuna fino ad oggi non siamo stati colpiti. Nel villaggio invece di Muratove, le armi hanno bombardato e colpito le case. L’altro ieri, per esempio, abbiamo avuto dei bombardamenti proprio attorno al villaggio”. Gli allarmi lanciati in questi giorni su attacchi imminenti, qui risuonano in modo particolare tanto che la gente si sta preparando. “Non c’è un vero e proprio piano di evacuazione”, dice don Sergio, “ma le persone si sono organizzate e sanno cosa fare e dove andare in caso di bombardamento”. Poche regole ma sicure: si deve correre nei rifugi e la priorità è mettere al sicuro i bambini. L’autobus della scuola è pronto ad andare a prendere i bimbi nelle scuole in caso di attacco per portarli nei luoghi sicuri. “Sappiamo poi dove vivono gli anziani e le persone che hanno qualche difficoltà di salute”, racconta il parroco. “Io personalmente sono attrezzato per prendere 10 persone in caso di pericolo”.
Il ministero della Difesa ucraino ha reso noto oggi di aver registrato 60 violazioni del cessate il fuoco da parte dei separatisti filorussi nella regione del Donbass nelle ultime 24 ore. Dal canto loro invece i separatisti filorussi dell’autoproclamata repubblica ribelle di Lugansk, hanno segnalato 27 violazioni del cessate il fuoco da parte dell’esercito ucraino. Insomma, la tensione è altissima. “Si, questo è vero”, conferma don Sergio. “Non sono sicuro se le violazioni siano 60 o 600 ma sono molte, moltissime. Ma noi abbiamo la speranza che non saremo obbligati ad andare via. Questa è la nostra terra. Molti poi non hanno nessun altro posto dove andare. Questa terra è la nostra casa”.
Malgrado la tensione tra le diplomazie è alle stelle e il pericolo di un attacco imminente è reale, “sono rimasti quasi tutti”, fa sapere il parroco. “Quando nel 2014 è iniziata la guerra, molti erano andati via ma quasi tutti sono tornati e molte altre persone sono arrivate qui dai territori occupati”. La vita in parrocchia continua. La domenica, la messa viene celebrata sempre e le chiese diventano punti di riferimento per la popolazione. Due sono le fasce che più necessitano di aiuto: gli anziani che hanno bisogno soprattutto di medicine e di cibo, e i bambini che stanno subendo il trauma della guerra. “La guerra è un trauma che rimarrà per tutta la vita”, dice don Sergio. “Li dobbiamo aiutare, essere presenti, dare loro sicurezza e pace, dirgli che non sono soli, parlare di quello che sta succedendo. Hanno paura che i loro genitori possano morire. E’ questa la loro paura più grande”.