In questi ultimi giorni al confine tra Polonia e Bielorussia si sta assistendo a un cambio di paradigma nei tentativi di attraversamento della frontiera. Mentre prima dello stallo al confine Kuznica Brugi delle ultime due settimane i migranti si muovevano in piccoli gruppi di 4-5 persone, poi 10-15, adesso i gruppi variano dalle 50 fino a 150-200 persone. La Polizia di frontiera, mostrando il video di una recinzione squarciata, ha dichiarato che un gruppo di 100 persone, due notti fa, ha cercato di attraversare la frontiera supportato dai militari bielorussi. È un copione già scritto, che fornisce ulteriori elementi di fatto su come la libertà di movimento dei migranti in Bielorussia sia in mano ai militari, i quali nel momento in cui provano ad “agevolare” il superamento della frontiera non sono sicuramente spinti da uno spirito umanitario.
Oltre alle numerose testimonianze rispetto al comportamento violento dei militari bielorussi, si deve sottolineare che viaggiare in grandi gruppi rende più semplice l’operato della polizia di frontiera polacca nel rintracciarli una volta che riescono a superare il confine. Inoltre, favorire, supportare o portare avanti atti violenti verso le forze polacche comporta nell’opinione pubblica polacca l’immagine del ‘migrante maschio, pericoloso e pronto a tutto’ pur di superare il confine. A un’attivista impegnata nei salvataggi nella foresta, fuori dalla zona di emergenza, qualcuno le ha chiesto “ma non hai paura dei migranti?”. In realtà sono i migranti ad essere terrorizzati da ogni persona che incontrano, hanno paura di essere respinti di nuovo. Hanno così paura che cercano di continuare senza chiedere aiuto, nonostante le precarie condizioni di salute.
Secondo gli attivisti polacchi, in questi ultimi giorni ci sono meno richieste di aiuto nella foresta e più persone negli ospedali. Questo significa che molte di queste vengono fermate dalla polizia in Polonia prima che possano chiedere aiuto e che molti migranti sono in condizioni così precarie da accettare di ricorrere alle cure ospedaliere. Le condizioni climatiche vanno peggiorando: ad Hajnówka, alle porte della Foresta di Białowieża, le temperature la notte scendono già sotto lo zero. Due giorni fa invece è arrivata la prima neve. Gli attivisti impegnati nelle aree di confine ricevono le richieste di aiuto da parte di persone disperse nella foresta e una volta intervenuti sul posto, verificano le condizioni sanitarie, forniscono beni come cibo, acqua, indumenti termici e power bank.
Terminate le operazioni di primo soccorso, informano le persone su quali sono i loro diritti in materia di richiesta di asilo e lasciano libertà di scelta se proseguire da soli oppure continuare a ricevere soccorso. Se le persone devono ricorrere a cure ospedaliere viene detto loro dagli attivisti che per ricevere un intervento dall’ambulanza dell’ospedale dovrà essere coinvolta anche la polizia di frontiera, così come in caso vogliano richiedere asilo in Polonia. Se le persone decidono di proseguire, gli attivisti si defilano onde evitare di superare quella linea che separa l’intervento umanitario da ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Se c’è bisogno di un’ambulanza si dovrà sperare che ce ne sia una a disposizione, considerato che gli ospedali più vicini non sono molto grandi, non dispongono di un buon numero di mezzi e che i casi di Covid in Polonia hanno una media di 20mila positivi giornalieri. All’ospedale, il compito degli attivisti è quello di traduzione per agevolare gli interventi degli operatori sanitari, di informazione rispetto al dovere che ha la polizia di ricevere le domande di asilo e di monitorare la situazione per evitare il respingimento. Purtroppo, la maggior parte delle volte le persone vengono nuovamente deportate in Bielorussia, altre vengono tenute in custodia presso i centri di detenzione per migranti in attesa che venga valutata la loro domanda di asilo o che vengano rimpatriati.
Solo chi proviene da Siria, Afghanistan, Eritrea e Venezuela non può essere rimpatriato, essendo considerati tali Paesi non sicuri. Ma tutti gli altri invece vengono considerati sicuri. Come ad esempio l’Iraq, che secondo le stime è lo Stato più rappresentato tra i paesi di provenienza dei migranti in Bielorussia. Dei voli da Minsk hanno già rimpatriato dalla Bielorussia 430 iracheni. Se si decide di lasciare la Bielorussia per rientrare nel proprio Paese significa che questa rotta migratoria è diventata più pericolosa dell’Iraq e non è una decisione facile da prendere. Tante persone non possono neanche considerare questa scelta e tenteranno di nuovo di superare soldati, confini, foreste sfidando la fatica, l’inverno e l’ipotermia. E per quelli che ci riusciranno ad uscire indenni e raggiungere la meta agognata, cosa rimarrà dentro di loro di questi giorni e settimane vissuti come una pallina di ping pong?