Il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia, che ha avuto visibilità nell’incontro a Roma tra i Presidenti Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron e firmato oggi dal capo di Stato d’Oltralpe e dal presidente del Consiglio Mario Draghi, giunge dopo un lungo e accidentato percorso di mediazioni e scambi diplomatici, disseminato negli ultimi anni da interessi economici e finanziari divergenti, sgambetti alle frontiere, richiami di ambasciatori, pregiudizi e malintesi persino in ambito culturale o sportivo.
Ma i legami – storici e attuali – tra i due Paesi sono troppo stretti per essere ignorati: due grandi nazioni nel cuore di un’Europa affaticata, invecchiata, che fa i conti con la globalizzazione multipolare che ha spazzato via definitivamente l’eurocentrismo.
Gli intenti del Trattato (che ne ricorda altri siglati dalla Francia con la Germania, fra cui i recenti dell’Eliseo e di Aquisgrana) e i suoi ambiti di competenza – dalla ricerca all’economia, dalle migrazioni alla politica estera, dalla sicurezza al servizio civile congiunto – sono essenziali nell’oggi e guardano al futuro. Vi si scorge una volontà di cooperazione rafforzata che, al di là degli stessi campi di operatività, lascia intravvedere una rinnovata volontà fra Parigi e Roma di mettersi alla testa dell’Ue, che ha perso per strada (senza eccessivi rimpianti) il Regno Unito, e che può contare su pochi altri attori di caratura: la Germania (in questa fase impegnata più sul fronte interno che continentale) e gli iberici. A est mancano protagonisti, e anzi da Polonia e Visegrad arrivano semmai segnali di chiusure e di allontanamento dai principi costitutivi della “casa comune”.
È chiaro che l’asse ritrovato tra Italia e Francia si deve principalmente alla statura dei personaggi in campo. Ma è soprattutto dalle figure del Presidente Mattarella e del premier Draghi che sorge un credibile, necessario richiamo all’integrazione europea, che Emmanuel Macron non si lascia sfuggire anche in vista della presidenza di turno Ue che la Francia assumerà da gennaio in un momento cruciale per l’Europa, tra pandemia, crisi economica, NextGenerationEu, pressioni migratorie (Mediterraneo, rotta balcanica, Bielorussia-Polonia, Canale della Manica) e instabilità regionali diffuse soprattutto nei vicini Africa e Asia.
Ora, però, occorre passare all’operatività. La politica non si fa (solo) con la carta dei trattati. Neppure con le buone intenzioni espresse a favor di telecamere. Essa dà frutti se diventa progettualità di lungo respiro, alleanza stabile e aperta ad ulteriori soggetti, pratica quotidiana, collaborazione concreta, mirando a produrre risultati visibili per i cittadini, le imprese, le realtà sociali. In più, un trattato che chiama in causa due Stati ha oggi il compito di mostrare che le sovranità nazionali si rafforzano e valorizzano proprio su un piano politico di respiro internazionale.
Il messaggio che giunge da Roma e Parigi va nella giusta direzione: purché si passi dalle parole ai fatti.