Si è chiuso mercoledì a Strasburgo il Forum della democrazia sul tema “La democrazia più salvare l’ambiente?”, organizzato annualmente dal Consiglio d’Europa nella loro sede. La discussione ha preso forma man mano nell’emiciclo durante le plenarie, o nelle stanze del grande Palazzo d’Europa dove venivano illustrati i 30 progetti provenienti da tutto il mondo e selezionati tra i 300 candidati. Ma anche tra i corridoi, sui divanetti e per le scale, dove in inglese o francese, i discorsi hanno dimostrato nuovamente quella regola non scritta, per la quale il contributo di ognuno è indispensabile a trasformare un semplice evento, spesso percepito come distante dalla società, in un metodo partecipativo che evidenzia l’importanza del multilateralismo per la democrazia.
“Permette di vedere insieme, in maniera collettiva, dove gli stati si sono scollati, dove ci sono le prime derive dai nostri standard comuni a cui i cittadini tengono tantissimo”, erano state le parole di Claudia Luciani, direttrice diritti umani, uguaglianza e governance del Consiglio d’Europa, in apertura del Forum. Rispecchiate a pieno nello spirito di chi ha affrontato questo appuntamento non come un gioco ma, si potrebbe dire, piuttosto come un canto ad una sola voce, un freestyle di hip hop dove da una parola nasce un’armonia. Non a caso forse, è stato proprio il concerto finale a liberare la partecipazione più sentita e vera, fatta di abbracci e condivisione che, seppur abbiano un po’ trasgredito alle precise regole anti Covid messe in campo e rispettate da tutti in modo esemplare per tutti e tre i giorni, hanno dimostrato quanto davvero l’unione faccia la forza. Un percorso intergenerazionale e interdirezionale che, seppur non siano mancate critiche e contestazioni, dimostra la voglia di voler superare i limiti con un insieme. Un esempio su tutti può essere visto nella vittoria del Premio dell’innovazione democratica, assegnato dai partecipanti alla EcoPeace Middle East, ong che riunisce ambientalisti giordani, palestinesi e israeliani.
“Non solo per gli aspetti ambientali legati all’acqua ma per la collaborazione che alimenta tra le comunità e contribuendo alle condizioni per la pace che noi tutti speriamo”, le parole di Maria Pejcinovic Buric, segreteria generale del Consiglio d’Europa, che consegnando il premio ha voluto definire così la preziosità di questa iniziativa. Perché è vero che i conflitti in Medio oriente non termineranno risolvendo il problema dell’acqua, però è vero anche che tutti quanti quelli che lo hanno votato, hanno bene in mente che da una parte si deve pur iniziare a far capire che le guerre non sono una cosa gradita, soprattutto dai molti giovani che hanno animato queste giornate. Curiosi, interessati ed anche presuntuosi con le loro precisazioni e domande, consapevoli che il mondo è nelle loro mani e devono impegnarsi in prima persona se lo vogliono migliore e più democratico. Seduti in quegli scranni, copie simili a quelli che nel mondo troppo spesso sono occupati da persone che hanno causato la deriva della democrazia, c’era forse chi vestito bene sognava ad occhi aperti di essere lui uno degli eletti, ma i discorsi, le esternazioni e la partecipazione fanno ben sperare il contrario. Le persone più anziane li guardavano con quegli occhi che sembravano dire: noi non ce l’abbiamo fatta, fatelo voi.
Tre giorni sono pochi ma possono essere un inizio.