Antonio Megalizzi, giornalista, autore e speaker radiofonico con Europhonica, entusiasta del sogno europeo, rimasto vittima – con l’amico e collega Barto Pedro Orent-Niedzielski – dell’attentato di Strasburgo dell’11 dicembre 2018, era un cittadino europeo consapevole, informato e dotato di senso critico. E la sua preoccupazione di veder crescere il numero di cittadine e cittadini europei consapevoli, informati e dotati di senso critico è condivisa da David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che ha concesso un’intervista al settimanale “Vita trentina” in occasione della sua visita a Trento. Venerdì 16 luglio Sassoli presenzierà infatti alla cerimonia di conferimento della laurea magistrale a titolo d’onore in European and International Studies ad Antonio Megalizzi. All’evento sarà presente il Capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Presidente Sassoli, condivide questa preoccupazione? Come si può lavorare per accrescere il sentire comune europeo?
Antonio Megalizzi era una persona che credeva fortemente nel progetto europeo e lo alimentava ogni giorno con il suo lavoro. Il suo impegno era quello di far conoscere a milioni di ragazze e ragazzi le opportunità dell’Europa, di stimolare dibattiti, di aprirsi al confronto con gli altri. Contrariamente a quanto ci vogliono far credere, sono convinto che il comune senso di appartenenza all’Unione europea sia condiviso dalla maggioranza dei giovani e dai nostri cittadini. Tuttavia, se vogliamo far diventare l’Europa protagonista è fondamentale individuare strumenti più efficaci, più flessibili e più resilienti. La politica non può essere per pochi e, in questo senso, credo che la Conferenza sul futuro dell’Europa possa essere una valida occasione per stimolare e coinvolgere attivamente le nostre opinioni pubbliche.
Lei è stato anche un giornalista di grande popolarità. Perché i giovani colleghi come Antonio oggi devono ancora incontrare tante difficoltà professionali, come è emerso dal racconto della sua vita? Come superarle?Negli ultimi anni il giornalismo è molto cambiato e anche avvicinarsi a questa professione non è facile, specialmente per i giovani. Le basse retribuzioni, la precarietà e la mancanza di tutele sono tutti elementi che contribuiscono a scoraggiare e, spesso, a dequalificare il loro lavoro. Sono fortemente convinto tuttavia che la crescita democratica si misuri dalla qualità e dal pluralismo dell’informazione, dall’accesso alle notizie e dalla capacità di promuovere un confronto tra i cittadini. Ecco perché è importante che le istituzioni valorizzino questa funzione e favoriscano, al tempo stesso, percorsi di inclusione e di protezione sociale.
Il disegno europeo negli ultimi anni è apparso in crisi, minacciato dal riemergere dei nazionalismi. C’è voluta una pandemia per recuperare uno spirito e un’azione comuni, almeno nel contrastare questa minaccia. Lei vede segnali positivi di recupero di una visione d’assieme dei 27?
Per l’Unione europea e per il mondo, la drammatica crisi provocata dalla pandemia è stata un vero e proprio spartiacque, un evento devastante quanto inatteso. Il Covid-19 non ha risparmiato nessuno e se c’è una lezione che abbiamo potuto imparare in questi mesi così difficili è il senso della nostra interdipendenza. Questo virus ci ha mostrato che nessuno può farcela da solo e soprattutto che alcune decisioni non possono essere governate singolarmente dai nostri Paesi ma richiedono un approccio comune. Per questo la pandemia non può essere una parentesi ma deve essere considerata un’occasione per progettare insieme un futuro più giusto e con meno disuguaglianze. Non si tratta di recuperare le ricette del passato, ma di leggere con lenti diverse le sfide della contemporaneità. Non è più accettabile, infatti, un’economia senza morale, uno sviluppo senza giustizia e una crescita a scapito delle generazioni future. In questo senso il Recovery Fund e il Next Generation Eu rappresentano non solo la risposta europea alla pandemia e agli effetti che ha prodotto, ma anche un’opportunità per realizzare nuovi modelli capaci di conciliare crescita economica e sostenibilità.
Dopo uno degli anni più difficili per il calcio europeo, i Campionati conclusisi domenica scorsa con la vittoria dell’Italia hanno dato, anche con il ritorno dei tifosi negli stadi, un forte segnale di speranza. Il calcio europeo potrà essere un alleato significativo nella decisiva iniziativa paneuropea che è la Conferenza sul futuro dell’Europa?
Lo sport – e il calcio in particolare – rappresenta un importante strumento di coesione sociale. In questo senso credo che il Campionato europeo appena concluso sia stata una straordinaria occasione per rafforzare quel comune sentimento di unità e di amicizia tra i nostri popoli. Per affrontare le sfide della contemporaneità c’è bisogno del contributo di tutti e credo che nell’ambito della Conferenza sul futuro dell’Europa anche lo sport possa essere uno strumento per favorire il dialogo e la cooperazione reciproca. In questo momento di crisi è molto importante agire insieme e rafforzare la nostra coesione europea, cioè il contesto nel quale intere generazioni hanno fatto esperienza di pace e hanno saputo costruire un modello che per molto tempo ha favorito benessere e garantito, al tempo stesso, diritti sociali e civili.
Il 9 maggio scorso il nostro settimanale ha ricordato Sophie Scholl nel centesimo anniversario della nascita con un graphic novel. “Quelli della Rosa Bianca non erano eroi o santi lontani e irraggiungibili, ma studenti come noi”, ha scritto lo scomparso giornalista Paolo Giuntella. Oggi, per quali obiettivi un ragazzo o a una ragazza d’Europa, così bisognosi di passioni forti, dovrebbe lottare con una resistenza nonviolenta?
Le idee, il coraggio e il senso di libertà di Sophie e degli altri studenti di Monaco hanno ispirato intere generazioni di europei. I giovani della Rosa Bianca erano desiderosi di pace, la stessa che manca in tante parti del mondo e che è attesa da persone costrette – ancora oggi – a subire discriminazioni politiche, razziali, etniche o religiose. Il messaggio di pace, libertà e nonviolenza portato avanti da Sophie Scholl è un impegno senza tempo e coinvolge tutti. La loro ansia di libertà e giustizia ci ricorda che di fronte alle ingiustizie e alle disuguaglianze dobbiamo continuare ad avere uno “spirito duro” ma anche un “cuore tenero”. Ecco perché, oggi più che mai, l’Europa deve rimettere al centro quei valori, restituire centralità alla persona umana e perseguire uno sviluppo integrale orientato al bene comune.