A un anno e mezzo dall’inizio della pandemia e dei lockdown decisi dai governi per contrastare il diffondersi del virus, gli addetti stampa e i portavoce delle Conferenze episcopali europee si sono incontrati oggi online per confrontarsi sull’impatto che la pandemia ha avuto sul loro lavoro, sulla vita della Chiesa in Europa e più in generale sull’informazione. “Pandemia e comunicazione ecclesiale: nuove sfide pastorali”. Questo il tema dell’incontro promosso dalla Sezione Comunicazioni Sociali del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) al quale hanno partecipato 48 portavoce, provenienti da tutta Europa. All’incontro hanno preso la parola Vania de Luca, vaticanista del Tg3 e presidente di Ucsi nazionale, e il direttore de L’Osservatore Romano, Andrea Monda. La giornalista della Rai ha parlato “del delicato ruolo” dei giornalisti che si sono ritrovati in prima linea nel raccontare la pandemia. “Delicato – ha detto – perché l’informazione è un ponte tra cittadini e istituzioni, tra comunità scientifica e popolazione, collante e costruttore di comunità o – al contrario – strumento di divisione e di disgregazione”. Andrea Monda, invece, partendo dallo storico momento di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro con la “Benedizione Urbi et orbi” del 27 marzo, ha ricordato lo stile comunicativo del Papa, fatto di prossimità, che gli permette di entrare subito in sintonia con i cuori e le menti dei fedeli e che rende ‘evento’ ogni incontro.
Anche per la Chiesa, è stato un periodo difficile e complicato. Il Coronavirus ha ristretto al massimo le possibilità di incontro tra le persone, impedendo anche tutte le attività pastorali e la celebrazione della Messa con la partecipazione dei fedeli in presenza. Una situazione straordinaria in cui, per la Chiesa – dicono al Ccee -, ha prevalso “il dovere di carità, di protezione della vita e della salute che l’ha portata ad accettare le restrizioni”. Vescovi e sacerdoti non hanno comunque mancato di creatività. Momenti di preghiera e celebrazioni liturgiche si sono trasferiti in rete, alla radio e alla televisione. L’ambiente digitale ha offerto nuove forme di socializzazione e partecipazione e la comunicazione, anche quella ecclesiale, alla prova del Covid, ha mostrato potenzialità e criticità. Come abitare gli ambienti digitali per raggiungere, incontrare tutte quelle persone che frequentano i social e la rete? Come salvaguardare la dimensione sacramentale legata alla partecipazione fisica delle celebrazioni? A queste domande si è cercato di rispondere nel corso di una tavola rotonda dove sono state presentate anche alcune esperienze vissute sul campo. Shona Cahill, del Jesuit YAM Team, ha presentato “L’accompagnamento spirituale online” offerto dai Gesuiti ai giovani e agli adulti nel periodo di restrizioni; Simona Juračková, della Caritas della Conferenza episcopale ceca, ha raccontato il grande lavoro fatto dalla Caritas ceca in questo tempo con l’iniziativa “In rete per aiutare gli altri”; Kornél Fábry, segretario generale del Comitato per il Congresso eucaristico internazionale di Budapest, ha riferito la preparazione dell’evento, slittato di un anno a causa del virus.
“E’ il tempo delle scelte” e la parola chiave è “prossimità”. Lo ha detto nelle conclusioni mons. Nuno Brás, vescovo di Funchal (Portogallo) e responsabile della Sezione Comunicazioni sociali del Ccee. “La pandemia ci ha mostrato un nuovo modo di vivere, ci siamo accorti che la nostra normalità forse è cambiata per sempre, che non si può, semplicemente, ripartire ma bisogna ricominciare. La parola chiave è la prossimità: è necessario accompagnare le persone in qualsiasi contesto, anche quello digitale, e far sentire loro la vicinanza della comunità e di Dio, farsi compagni di strada nel bisogno di sacro e di Dio che abita il cuore dell’uomo, essere capaci di aprire finestre al mistero di Dio”.