A pochi giorni dall’anniversario della morte di Giovanni Paolo II (2 aprile 2005) la Chiesa in Polonia è stata scossa dalla notifica da parte della Nunziatura apostolica a Varsavia dei provvedimenti nei confronti dell’arcivescovo emerito di Danzica, mons. Sławoj Leszek Głódź, e del già arcivescovo di Calisia, mons. Edward Janiak. A entrambi è stato ordinato di vivere fuori dalla propria diocesi, e di non partecipare a celebrazioni religiose pubbliche o incontri di laici nella propria zona. Inoltre, entrambi sono stati incoraggiati a offrire una somma adeguata di fondi personali alla Fondazione “San Giuseppe”, istituita dalla Conferenza episcopale polacca per prevenire gli abusi sessuali nella Chiesa cattolica.
“Serve un ampio dibattito”. Come ha affermato recentemente Marcin Przeciszewski (nella foto), direttore dell’agenzia di stampa cattolica Kai, “nella sua storia la Chiesa non è mai stata libera da difficoltà ed errori, e quindi oggi è necessario far sì che la crisi possa diventare motore di crescita e sviluppo positivi”. Secondo il direttore, oggi in Polonia è necessario “un ampio dibattito nazionale sulla Chiesa, avviato da vescovi che ascoltano la voce dei laici”. Riguardo ai casi di abusi sessuali, Przeciszewski ha sottolineato che “indipendentemente da molte difficoltà ed errori, la Chiesa è l’unica istituzione in Polonia che abbia elaborato delle norme di protezione dei minori da abusi”. È anche l’unica istituzione che si adopera concretamente per la prevenzione e il sostegno alle vittime attraverso un ufficio dedicato istituito dalla Conferenza dei vescovi.
Numeri elevati… A marzo di quest’anno, la Kai ha presentato un dettagliato rapporto sullo stato della Chiesa cattolica in Polonia che in maniera sintetica raccoglie sia le statistiche relative alle strutture ecclesiali sia i dati riflettenti l’impegno dei laici e la fiducia da parte dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche. Attualmente, la Chiesa cattolica in Polonia conta 33.600 sacerdoti di cui quasi 25mila diocesani, 154 vescovi (fra cui 44 diocesani) e 2,57 milioni di fedeli impegnati nella vita ecclesiale, ai quali vanno aggiunte 19mila religiose e oltre 2mila religiosi appartenenti a congregazioni maschili.
…ma partecipazione in calo. Di fronte a tali numeri da record, però, se nel 1990 alle liturgie domenicali partecipava il 50,3 per cento di fedeli rispetto alla popolazione complessiva, nel 2019 tale percentuale è scesa al 36,9. Il 90 per cento di polacchi si definisce “cristiano”, ma i “profondamente credenti” (in maggioranza donne) non superano l’11%. Parallelamente, negli ultimi decenni è calato il numero di coloro che dichiarano di riconoscersi nelle posizioni conformi alla morale cattolica, e oggi solo il 20 per cento di fedeli considera inammissibile una convivenza senza matrimonio. Il rapporto della Kai non nasconde la gravità della situazione dei giovani fra i quali, al giorno d’oggi, i praticanti sono la metà di quelli di trent’anni fa. Oltre il 50% dei giovani dichiara di non riconoscere l’autorevolezza della Chiesa cattolica. Se la situazione dovesse aggravarsi ancora, in Polonia si rischia di fermare la trasmissione intergenerazionale della tradizione cristiana, che finora è sempre stata saldamente ammessa e riconosciuta.
Genitori e nonni. La direttrice del prestigioso centro di analisi dell’opinione pubblica in Polonia (Cbos), professoressa Mirosława Grabowska (nella foto), commentando il rapporto Kai ha sottolineato l’importanza della percentuale di giovani incoraggiati da genitori a partecipare alla vita religiosa della parrocchia: nel 1998 erano il 52%, mentre nel 2016 solo il 30%. Il calo non ha riguardato però, in contemporanea, le pressioni esercitate da parte della famiglia sui giovani nell’ambito dello studio o del loro contributo al lavoro domestico. Grabowska ritiene probabile che il cambiamento sociale osservato sia anche frutto di una minore presenza dei nonni nelle famiglie e di una loro marginale influenza sull’educazione dei nipoti, rispetto al passato.
Giovani e adulti. “È facile emettere delle sentenze contro i giovani che avrebbero voltato le spalle alla Chiesa, mentre è molto più difficile accompagnare loro nel cammino delle fede”, ha osservato in proposito mons. Grzegorz Suchodolski che per molti anni è stato direttore dell’ufficio polacco delle Gmg. “I giovani hanno bisogno di guide con le quali condividere i propri alti e bassi, necessitano dei luoghi adatti alla formazione spirituale e intellettuale e hanno anche bisogno di tempo”, ha affermato il presule conscio che “l’atteggiamento dei giovani nei confronti della Chiesa è una risposta al comportamento degli adulti, ad una società in conflitto, ai genitori sovraccaricati dal lavoro e ai sacerdoti la cui testimonianza a volte lascia a desiderare”. Mons. Suchodolski, ipotizzando che “i cuori dei giovani siano stati rapiti da qualcun altro capace di mostrare loro un’empatia maggiore”, ha rilevato la necessità di alcune “modifiche stilistiche della catechesi rivolta ai giovani, attualmente presentata con un linguaggio obsoleto e arcaico”.
Segnali di speranza. Gli autori del rapporto Kai, così come i commentatori del documento, hanno sottolineato in conclusione che la pandemia da coronavirus “ha d’altro canto permesso di vedere con nitidezza il volto della Chiesa vicina ai poveri e ai malati, la Chiesa come luogo dove molte persone in difficoltà cercano e trovano sostegno”. Puntualizzando che sono oltre 55mila i giovani impegnati nelle attività dei centri Caritas locali e in altre iniziative promosse dalla Chiesa a favore dei diseredati, gli autori del documento sono speranzosi riguardo al futuro della Chiesa polacca poiché spesso “sono proprio i poveri a portare i giovani verso la fede”.