Paesi Bassi al voto, da oggi e fino al 17 marzo, per rinnovare la Camera dei rappresentanti. 14 partiti in lizza per 150 seggi (non c’è una soglia di sbarramento, motivo per cui oggi i partiti alla Camera sono attualmente 15). Secondo i sondaggi, ancora in testa è il partito del premier uscente Mark Rutte, Vvd (Partito popolare per la libertà e la democrazia, di stampo liberal-conservatore che oggi occupa 39 seggi); anche Cda (Cristiano democratici), D66 (Liberal democratici) e Pvda (social democratici), partiti dell’attuale coalizione, non dovrebbero avere oscillazioni significative. Il secondo partito però è sempre quello guidato dal populista Geert Wilders (Pvv, al 12% con 19 seggi). La coalizione potrebbe spostarsi verso sinistra con i Groenlinks, i verdi di sinistra, al posto dei ChristenUnie, il partito cristiano-sociale. Questo secondo scenario potrebbe complicare la definizione del programma di governo, il quarto guidato da Rutte, essendoci maggiori differenze sulle visioni socio-economiche tra i partiti. Dopo le elezioni del 2017, erano occorsi 225 giorni a Rutte per definire l’esecutivo (la gestazione di un esecutivo è in media di 94 giorni). Mentre si aprono le urne, il Sir ha posto qualche domanda a Marcel Klok, esperto di macro-economia (ha curato per Ing una ricerca pubblicata a febbraio sulle elezioni olandesi), per comprendere quale aria si respiri nel Regno di Guglielmo Alessandro.
Il Covid metterà a rischio la partecipazione al voto?
Il governo ha preso alcune misure per evitare il collasso dell’affluenza: si può votare già nei due giorni precedenti il 17 marzo, soprattutto per gli anziani e i più fragili sul piano della salute. Agli over 70 è permesso anche il voto via posta (2,4 milioni di elettori su 13 milioni di aventi diritto al voto). Le intenzioni di voto mostrano comunque che l’80% degli elettori andrà a votare; solo una piccola minoranza dice che ha paura di uscire per recarsi alle urne (82% era stata l’affluenza nella tornata del 2017).
Qual è l’atmosfera nel Paese?
C’è stanchezza verso le misure di distanziamento sociale e il governo ha un pochino ridotto le restrizioni nelle ultime settimane anche se i numeri di nuovi casi Covid sono ancora alti (circa 5mila al giorno): prima i negozi erano chiusi, poi c’è stata la possibilità “click&collect” (comprare on line e andare a ritirare i prodotti in negozio), ora si può andare nei negozi su appuntamento. Resta il coprifuoco alle 21 o la possibilità di ospitare in casa una sola persona. La gente comunque capisce che le restrizioni sono necessarie e che nella misura in cui il governo sostiene l’economia e le aziende, le attività devono restare chiuse.
E sul piano del dibattito politico?
Le discussioni continuano a ruotare principalmente attorno al Covid.
Ci può spiegare le ragioni delle dimissioni del governo Rutte a gennaio? Hanno avuto strascichi nell’indice di gradimento?
Nel corso degli ultimi anni, il governo, con il sostegno del Parlamento, è diventato molto restrittivo sul sistema delle indennità onde evitare abusi (ce ne sono tante e di diversi tipi, per gli affitti, per i figli, per i bassi redditi…). Erano milioni le persone che ricevevano qualche forma di sostegno. Forse però si è stretto troppo: a migliaia di famiglie sono stati negati aiuti pubblici, anche a quelle che ne avrebbero avuto diritto, ed è stato addirittura chiesto di restituire i sostegni ricevuti, con conseguente indebitamento di molte famiglie. Indagini parlamentari e della stampa hanno fatto emergere questa situazione, la cui responsabilità era spalmata su tanti attori diversi. Ma qualcuno doveva assumersela, e lo ha fatto il governo dimettendosi. Non sembra che questo abbia spostato i consensi. Il sistema delle indennità sarà un tema da affrontare per il prossimo governo, ma c’è abbastanza consenso tra i partiti sull’orientamento che dovrà avere la riforma.
Nemmeno la crisi economica legata al Covid ha scalfito la fiducia nell’esecutivo uscente?
No, il governo ha introdotto maggiori sostegni, con altri strumenti; è stato molto generoso. Non abbiamo mai visto un pacchetto di aiuti così consistente nella storia dei Paesi Bassi. Miliardi di euro sono stati distribuiti per sostegno al reddito, agli stipendi, misure sociali per arginare la disoccupazione. Certo c’è molta disuguaglianza: i lavoratori autonomi o persone con contratti flessibili hanno perso il lavoro (e sono spesso giovani); tra i settori economici c’è differenza. A livello nazionale la disoccupazione, salita durante il primo lockdown, ora è scesa. Anche il calo del Pil nel 2020 non è stato drammatico come in altri Paesi europei (-4%). Certo ci saranno effetti negativi quando i sostegni finiranno, a giugno 2021, se non ne verranno introdotti altri: cresceranno la disoccupazione e le insolvenze, anche se le previsioni sono meno gravi di quanto avvenuto negli anni della crisi economica.
Il populista Geert Wielders subirà flessioni?
È da anni che il suo è il secondo partito; lo scorso anno un altro partito populista, il Forum per la democrazia (Fvd guidato da Thierry Baudet) gli aveva tolto sostegni, raccogliendo il 10% dei consensi; poi ci sono state tensioni interne al Fvd che ne hanno fatto crollare il consenso al 3%. Di populismo comunque oggi si parla poco e il Covid ha avuto un effetto di rafforzamento dei consensi per i partiti di governo.
Quindi si va verso un quarto governo di Mark Rutte?
È possibile e non è inusuale nei Paesi Bassi che un primo ministro resti in carica così a lungo. E Rutte è molto pragmatico: se non trova consensi, cerca voti tra l’opposizione; al Senato lo ha sempre dovuto fare, perché il governo non aveva la maggioranza. Anche sul piano personale Mark Rutte è stimato e apprezzato.
Qual è, a suo avviso, il sentimento diffuso verso l’Unione europea?
Tradizionalmente i Paesi Bassi sono sempre stati favorevoli all’Ue per i benefici economici, essendo noi un piccolo Paese. Nell’ultimo decennio è cresciuta l’esitazione rispetto a un’Unione sempre più stringente, e in relazione a questioni sociali, come le migrazioni, o le politiche fiscali. Probabilmente l’Olanda continuerà ad essere favorevole all’integrazione europea nella misura in cui ogni Paese sarà disposto a tenere a posto i propri conti. I partiti di sinistra, che non sono al governo oggi, sembrano più favorevoli a un’Europa più grande e solidale, a destra invece c’è qualche resistenza.