La questione dei rapporti tra Europa e Russia è stata sempre centrale nella storia del nostro continente. La caduta del regime sovietico in Russia e la liberazione dal comunismo con la riunificazione della Germania negli anni ‘90, portò all’allargamento dell’Unione europea, ma non a rapporti sereni con l’antica Russia. La maggioranza degli Stati europei appartiene ormai alla stessa struttura politica (ma anche militare, la Nato), con una quasi coincidenza tra Europa istituzionale (l’Unione europea) ed Europa geografica. Si avvicina all’idea dell’Europa “dall’Atlantico agli Urali” sognata dal generale de Gaulle, questa Europa che dovrebbe, secondo quanto affermato da Giovanni Paolo II, “respirare con i suoi due polmoni”.
Tale visione – dall’Atlantico agli Urali – è innanzitutto una visione occidentale, non realistica.
Gli Urali non sono stati mai una frontiera politica, né un limite naturale, nemmeno un ostacolo tra i popoli. Da parte sua, la proposta di Gorbaciov di “casa comune” era piuttosto imprecisa. La Commissione europea dichiarava nel 1992: “europeo non può essere ufficialmente definito, […] non è possibile né opportuno stabilire le frontiere dell’Unione europea i cui limiti saranno ancora ridefiniti”. Il trattato di Amsterdam precisava nel 1997 che può entrare nell’Unione ogni Stato europeo che rispetta i principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani.
Questa questione dei limiti/confini dell’Europa è fondamentale. Nell’agosto 1978, il cardinal Wojtyla, in un famoso saggio, si interrogava qualche settimana prima della sua elezione al pontificato: “Una frontiera per l’Europa: dove?”. La domanda è tanto più capitale che misura il peso della storia, una storia spesso assai crudele, troppo spesso dimenticata o ignorata dai politici occidentali, ma la cui memoria è al contrario esacerbata in Europa centrale e orientale.
È la questione immensa, mai risolta, dei rapporti del mondo russo con l’Occidente, tra cattolicesimo e ortodossia, tra concetti differenti del potere politico e dei diritti umani, dell’idea di nazione.
La definizione del confine resta un elemento chiave dell’identità nazionale da affermare
Orbene la storia dell’Europa di questi ultimi trent’anni è anche la storia della costruzione di nuove frontiere, come dimostrano gli Stati nati dallo smantellamento della Yugoslavia e dell’Unione Sovietica. È la storia di nuove paure e di nuovi nazionalismi, di sofferenze e di odii antichi, di memorie sempre vivaci, di pregiudizi e di divisioni tra popoli, etnie, gruppi linguistici… Storia di passioni mai spente. Ci sono ancora oggi delle ferite profonde che sembrano impossibili da cicatrizzare. A volte l’idea stessa di riconciliazione sembra inaccessibile.
La crisi attuale tra Europa e Russia ha le sue radici in questa lunga storia di nazionalismi, di identità e di sofferenze straordinarie. Come dimenticare in Ucraina la grande carestia organizzata dal potere sovietico, cioè russo, la Holodomor, lo sterminio per fame che uccise da tre a cinque milioni di persone tra 1931 e 1933? Come dimenticare gli orrori del Gulag?
La Russia è un grande impero, un Paese europeo, e allo stesso tempo asiatico, che non può accettare una perdita di potenza.
Ricordiamo i Giochi olimpici d’inverno di Sotchi nel 2014: in quell’occasione la Russia ha dato la sua propria interpretazione della propria storia, della sua grandezza, che i responsabili dell’Unione europea dovrebbero prendere in considerazione per capire la posizione di Mosca. I dirigenti russi, che dello Stato o della Chiesa ortodossa, nutrono il sentimento di essere assediati da un’Occidente che vorrebbe imporre i suoi valori morali, la sua potenza militare, i suoi metodi economici; in Occidente la russiafobia si è sparsa, le accuse e i contenziosi sono numerosi, riguardanti soprattutto per i diritti umani (in questo momento il caso Alexei Navalny), il potere autoritario, le minacce militari.
La posta in gioco è l’equilibrio di tutta l’Europa. Perciò sia i responsabili russi come quelli occidentali dovrebbero fare lo sforzo di afferrare quanto la storia sia complessa, e che la sua conoscenza permette di capire le motivazioni profonde degli uni e degli altri, per evitare prese di posizioni dogmatiche che portano inevitabilmente al confronto e persino allo scontro.