Il governo danese sta lavorando a una nuova serie di leggi per contrastare la “radicalizzazione” e così prevenire scontri sociali e terrorismo. Dopo le leggi del 2017 che, ad esempio, hanno introdotto l’obbligo di una formazione ai valori danesi per tutti i pastori e sacerdoti provenienti dall’estero che intendono officiare matrimoni religiosi in Danimarca, il governo ha manifestato l’intenzione di varare una legge che imporrà che tutti i sermoni, omelie e interventi nel contesto di una celebrazione religiosa siano tenuti in danese o resi accessibili con una traduzione nella lingua nazionale. La notizia ha suscitato parecchie reazioni sia in ambito nazionale che internazionale.
Il Consiglio delle Chiese danesi ha scritto al primo ministro Mette Frederiksen per esprimere la propria sostanziale opposizione per una legge percepita “come un sospetto verso le denominazioni diverse dalla Chiesa di Danimarca” (Chiesa di Stato), e come “violazione della tradizione danese di libertà e diversità”. Anche il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece), si è fatto sentire in merito e ha bollato la possibile legge come “indebito ostacolo al diritto fondamentale alla libertà di religione”. Il Sir si è messo in contatto con mons. Czeslaw Kozon vescovo di Copenaghen, diocesi che copre tutto il territorio danese e a cui appartengono 70 sacerdoti, di cui 15 danesi e 55 stranieri.
Ci può dire a che punto dell’iter legislativo si trova la legge in questione?
Il governo sta ancora lavorando sulla bozza perché possa essere accettabile. Nonostante i problemi già emersi però mi pare ci sia una volontà ferma di andare avanti e questo ci preoccupa un po’. Non si conosce ancora il testo esatto di questa proposta, ma appare abbastanza complicata: impone a noi un grande lavoro se dobbiamo tradurre tutto, anche perché tanti sacerdoti predicano senza manoscritto. Non si capisce in che modo sarà applicata la legge, come si controllerà e ci domandiamo anche chi da parte dello Stato ha interesse a vedere ciò che si è predicato nelle singole chiese. Noi siamo anche convinti che questa legge non raggiungerà lo scopo perché gli ambienti più radicalizzati non sono riconosciuti dallo Stato né vogliono esserlo, quindi almeno da quanto sembra ora non saranno costretti a seguire questa legge. Peraltro,
quello che lo Stato vuole ottenere è già assicurato con le leggi esistenti.
Se c’è il sospetto che un ambiente musulmano sia un nido di radicalizzazione o di forze antidemocratiche, lo Stato può già con le leggi esistenti intercettarlo. Il problema è che qui si segue un unico dogma, quello di non discriminare, e quindi per arrivare ai musulmani si pensa una legge che colpisca tutti. Lo scopo è ritenuto così importante che non ci si astiene dall’imporre svantaggi per altri.
È interessante che anche la Chiesa di Danimarca sostenga nel contesto del Consiglio delle Chiese le vostre obiezioni…
Sì, lo apprezziamo molto. In tanti aspetti abbiamo l’appoggio della Chiesa luterana danese. Ci vogliono bene! In realtà anche per loro c’è un dilemma e un interesse perché alla Chiesa luterana appartengono le comunità in Groenlandia e nelle isole Faroer che hanno una lingua propria e quindi la legge colpirebbe anche quelle comunità. Alla Chiesa luterana appartiene inoltre la minoranza tedesca, concentrata nella zona meridionale del Paese alla frontiera con la Germania e in una comunità a Copenaghen.
È a rischio la libertà di religione?
Tutti i politici dicono che non vogliono toccare la libertà di religione, ma di fatto non hanno paura di porre dei limiti. Anche noi condividiamo le preoccupazioni per gli ambienti musulmani più radicali perché sappiamo che i cristiani non hanno una vita facile nei Paesi di dominanza musulmana e non neghiamo allo Stato il diritto di bloccare la radicalizzazione; ma la legislazione esistente offre già allo Stato gli strumenti necessari per intervenire.
Come hanno reagito i musulmani?
Non ho sentito nessuna reazione. È un po’ strano, ma non mi pare si siano impegnati. Loro di solito cercano di mantenere un profilo basso. Le reazioni sono venute tutte da ambienti cristiani, in Danimarca e all’estero.
Il desiderio di contrastare il radicalismo religioso non può portare all’estremo opposto di un radicalismo della laicità?
In Danimarca certo no perché lo Stato appoggia la Chiesa luterana e lavora anche per rafforzarne la posizione perché la Chiesa di Stato è una garanzia. Però allo stesso tempo c’è una religione secolare, appoggiata dallo Stato, cioè la divinizzazione della democrazia, dell’uguaglianza e di tutti i valori danesi che vengono dogmatizzati e che tutti li devono accettare. Noi cristiani non abbiamo problemi con la democrazia, ma ci sono aspetti che sono considerati diritti che a volte sono anche contro la dottrina cristiana (diritto all’aborto, matrimoni omosessuali…). E per alcuni l’opposizione all’aborto viene considerata come un segno di non voler accettare i “valori” danesi.
La Danimarca non diventerà mai uno Stato laico come la Francia
nonostante tanti Paesi, a partire dalla vicina Svezia, hanno percorso la strada della separazione Chiesa-Stato. Ma in Danimarca sia i politici, ad eccezione di quelli più a sinistra, sia la Chiesa luterana vogliono mantenere la situazione attuale. Anche i danesi appoggiano la Chiesa luterana, ma in modo passivo. Il 70% dei danesi è battezzato nella Chiesa luterana.
Quali saranno i vostri prossimi passi in merito alla legge?
Aspettiamo ancora una risposta alla lettera del Consiglio delle Chiese; poi è prassi che quando sarà pronta la proposta di legge, noi saremo invitati a presentare i nostri commenti. Ma si sarà già troppo avanti. Il momento per manifestare le nostre riserve è adesso.