Coordinamento, responsabilità, innovazione, stabilità. Sono quattro criteri che a Bruxelles vanno per la maggiore in relazione alla risposta alla pandemia. Il Covid-19, fra i tanti problemi sollevati (contagi, vittime, emergenza sanitaria, recessione economica, disoccupazione, crisi sociale…), ha quanto meno mostrato agli Stati membri dell’Unione europea la necessità di serrare le fila: e l’insegnamento di don Lorenzo Milani – “sortirne tutti insieme è la politica” – pare abbia fatto strada fra le 27 capitali e Bruxelles.
Il prossimo 21 gennaio il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, presiederà l’ennesima videoconferenza con i capi di Stato e di governo sul coordinamento Covid.
Un ulteriore passaggio per definire soluzioni condivise:
Quadro finanziario pluriennale dell’Unione e Next Generation Eu (sommati agli interventi di Bce e Bei, sospensione del Patto di stabilità e crescita, più Mes e Sure) non saranno la panacea a tutti i mali, ma potranno contribuire alla ripresa economica, per ridare fiato a imprese e famiglie, aggiungendo fondi utili a imboccare con decisione la strada del Green Deal e della digitalizzazione. Interventi a breve, dunque, assieme alla definizione di riforme di lungo periodo che vadano ad incidere sulla “qualità” del mercato unico e dei sistemi economici, e sulla vita dei cittadini.
Ma per tutto ciò occorrono, appunto, coordinamento, responsabilità, innovazione, stabilità. Così la ventilata crisi di governo in Italia – il Paese che beneficerebbe più di tutti gli altri dei fondi europei, con 209 miliardi – appare assai fuori luogo nelle sedi istituzionali Ue. E persino nelle altre capitali europee. Nel momento in cui la politica è chiamata a dare risposte certe, nessun Paese europeo è attraversato dalla tentazione di ribaltare il governo in carica, e tanto meno di pensare alle elezioni. Non accade neppure nel Regno Unito, dove le ragioni per allontanare Boris Johnson dal numero 10 di Downing Street erano emerse addirittura nel suo partito, salvo poi rendersi conto che uno Stato piegato da recessione, Brexit e Covid di tutto ha bisogno tranne che di una débâcle governativa. Lo stesso accordo registrato durante il Consiglio europeo di dicembre per far rientrare le impuntature di Polonia e Ungheria sulla condizionalità dei fondi (rispetto dello stato di diritto, come indicato dai Trattati Ue) è parso andare nella linea di evitare a ogni modo uno scontro politico che avrebbe bloccato il Quadro finanziario pluriennale e con esso il Next Generation Eu.
D’altro canto in alcuni Paesi sono state rinviate le elezioni amministrative, proprio per evitare di esporre i cittadini a una pericolosa – dal punto di vista sanitario – campagna elettorale. Mentre in Germania non mancano, in questo senso, le preoccupazioni per il voto legislativo del prossimo settembre
Sono peraltro risuonati anche a Bruxelles – come non dovrebbero sfuggire a Roma – gli autorevoli richiami del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (“Questo è il tempo dei costruttori”; discorso di fine anno) e persino di Papa Francesco (“In questo momento la classe dirigenziale tutta non ha il diritto dire Io. Si deve dire Noi e cercare un’unità davanti alla crisi. […] È il momento di pace e non crisi, bisogna seminare il bene comune”; speciale Tg5).
In un’intervista rilasciata al “Il Giornale” (11 gennaio), anche uno dei leader dell’opposizione, Silvio Berlusconi, richiama alla responsabilità e sottolinea le gravi difficoltà di un eventuale ricorso alle urne, con una campagna elettorale sacrificata proprio dalla situazione pandemica.
Il “piano di ripresa” europeo va preso sul serio:
sottoponendo alla Commissione Ue progetti di ampio respiro, mettendo in moto tutte le possibili energie del Paese per affrontare la situazione emergenziale e porre al contempo le basi della “rinascita” post Covid. Sarebbe veramente difficile spiegare alla Ue e agli altri Paesi membri – oltre che ai cittadini italiani – che, dopo aver ottenuto i maggiori stanziamenti, Roma si infilasse in una crisi parlamentare al buio, con un rischioso stallo politico e decisionale. In Italia, come in Europa, servono “costruttori” e a ciascuno, maggioranza e opposizioni, cittadini e imprese, è chiesto di fare la propria parte con la testa sulle spalle.