Appassionato di politica, attento alle trasformazioni socio-culturali in atto, “tifoso” dell’integrazione europea, interprete degli scenari internazionali segnati dalla pandemia Covid-19. Padre Bartolomeo Sorge è scomparso il 2 novembre all’età di 91 anni: il prossimo 3 dicembre uscirà un libro postumo, “Perché l’Europa ci salverà. Dialoghi al tempo della pandemia” (Edizioni Terra Santa) scritto a quattro mani con Chiara Tintori. Una sorta di “testamento civile” del gesuita giornalista, scrittore, polemista, tra gli artefici della “primavera di Palermo”, educatore di generazioni di giovani da lui incoraggiati a prendere in mano il loro futuro. Nel libro si parla anche del rapporto con la pandemia e le restrizioni della vita quotidiana; le diverse forme di razzismo che “inquinano” il vivere civile; gli enigmi della politica italiana, messa alla prova dagli stringenti bisogni dettati dalla crisi; di populismo e nazionalismi; della presenza dei cristiani in questa epoca e della Chiesa di Bergoglio. Sir ha intervistato Chiara Tintori, politologa, già coautrice con Sorge del volume “Perché il populismo fa male al popolo”.
Il nuovo volume, che sarà presentato il 3 dicembre (ore 16, con l’intervento di Enrico Letta, presidente dell’Istituto Jacques Delors di Parigi) nasce da una vostra mai interrotta collaborazione. Come è stato lavorare gomito a gomito con padre Bartolomeo?
È stato affascinante. Prima di tutto per la vivacità intellettuale che lo ha contraddistinto. Era interessato a tutto, dai risvolti della politica italiana e della vita della Chiesa, alle opzioni del social Twitter, che usava con scioltezza in autonomia. Lavorare al suo fianco, specie in questi mesi di pandemia, è stata una vera e propria grazia! Ho apprezzato la sua chiarezza espositiva, l’agilità nello scegliere parole incisive e adeguate al suo pensiero. Mi ha sempre meravigliato come di rado correggesse i nostri testi: non abbiamo mai fatto più di due versioni dei file di scrittura, perché eravamo in due a scrivere. Questo modo di procedere trasmetteva rispetto e pace.
Come è nato questo volume?
Direi anzitutto che è passato così poco tempo dal 2 novembre, giorno della Pasqua di padre Sorge, che non riesco ancora a guardare a “Perché l’Europa ci salverà” come a un libro postumo. Concordo invece sul fatto che si possa considerare il suo testamento civile. Durante i mesi di isolamento – per lui all’Aloisianum di Gallarate (Varese) da fine febbraio 2020 al giorno della morte – le nostre videochiamate si sono intensificate, un po’ per scambiarci qualche idea sull’attualità, e un po’ per quel desiderio sempre vivo in me di poter assorbire anche solo un millesimo del suo acume nell’interpretare i segni dei tempi. Ci siamo poi chiesti se questi nostri scambi avessero potuto giovare anche ad altri. È nato così il format “20’ con padre Sorge” (tuttora disponibile su YouTube – ndr) che ci ha accompagnato per 5 “episodi” dal 30 giugno al 15 ottobre sui canali social dell’editore Ets.
Il libro ha preso forma in quel periodo?
Sì, questi video costituiscono l’embrione del libro, dove dialoghiamo sul nostro rapporto con la pandemia, sulle diverse forme di razzismo che inquinano il vivere civile, sull’Unione europea “casa comune”, sugli enigmi di una malconcia politica italiana, sulla Chiesa di Papa Francesco e il suo tentativo di “ripararla”. E, infine, sull’ultima enciclica sociale, Fratelli tutti.
Qualche anticipazione sui contenuti del libro?
Il tratto distintivo delle nostre conversazioni è molto chiaro: la pandemia ha smascherato l’inganno dell’individualismo e nessuno può salvarsi da solo. Ecco perché sarà l’Europa a salvarci. Per ricostruire un’Italia che abbia a cuore il bene comune (e non solo il benessere di molti) non possiamo che guardare a una Unione europea dove l’ispirazione etica, la solidarietà e la fraternità divengano fondamenta del nostro vivere insieme. Non si tratta solo di far funzionare meglio le istituzioni europee, cosa di per sé necessaria, o di migliorare sistemi e regole esistenti affinché l’Europa dei popoli possa animare quella dei governi, ma di cambiare radicalmente modo di pensare e agire. È tempo di una conversione culturale, che sappia valorizzare le diversità di ciascuno, per procedere speditamente verso l’amicizia sociale, cominciando dalle periferie della nostra casa comune.
Definirebbe Sorge come un “europeista”?
Certamente. Sorge è stato un europeista convinto, e proprio per questo desideroso che i tempi odierni, marcati a fuoco dalla pandemia, richiamassero un sussulto di responsabilità da parte di ciascuno, senza il quale l’Unione europea rischia di essere il fantasma di se stessa.