Migliaia di armeni stanno lasciando le zone del Nagorno-Karabakh che dovrebbero, secondo un calendario ben preciso, essere cedute all’Azerbaigian in base all’accordo di pace siglato nei giorni scorsi con l’Armenia sotto la supervisione di Mosca. Molti di loro, prima di andarsene, stanno bruciando le loro case. Alle loro spalle, stanno lasciando anche un vastissimo e millenario patrimonio culturale e religioso. Sul rischio che questa eredità vada persa, si è levata nei giorni scorsi la voce del “Consiglio spirituale supremo” della Chiesa apostolica armena che in una Dichiarazione del 16 novembre ha chiesto ai governi e agli organi competenti di “compiere sforzi per salvare” chiese e monasteri, monumenti e musei storici e culturali da “ulteriori distruzioni a causa della politica anti-armena dell’Azerbaigian”. Su questo rischio, nei giorni scorsi si sono mobilitati anche un gruppo di 42 studiosi di cultura armena, professori di Università, Istituti e Accademie che hanno rivolto una Lettera-appello al governo italiano e alla Segreteria di Stato vaticano. Tra i firmatari c’è anche Aldo Ferrari, dell’Università Ca’ Foscari, autore insieme a Giusto Traina, del libro “Storia degli armeni” (Feltrinelli). “Ci sono soldati russi di intermediazione a proteggere quanto è rimasto della popolazione armena nel Nagorno-Karabakh”, dice subito l’esperto. “Ma noi sappiamo purtroppo quello che possiamo aspettarci dagli azerbaigiani”.
Cosa?
Lo sappiamo non in maniera retorica. Non si vuole criminalizzare un popolo ma abbiamo precisi precedenti storici. Il Nagorno-Karabakh ha purtroppo un precedente che riguarda il Nakhichevan. Una regione che si vede a fatica sulla carta geografica e che si trova tra l’Armenia, la Persia e la Turchia. Era storicamente e demograficamente armena ma è entrata a far parte dell’Azerbaigian. Da quel momento, gli armeni sono andati via e il patrimonio artistico cristiano armeno è stato completamente annichilito. 89 chiese e 10mila croci di pietra, le famose “khachkar”, sono state distrutte. Non è rimasta più traccia di una millenaria presenza armena in questa Regione sebbene esistano libri, foto, documentazioni precedenti al 1991 che l’attestano. Oggi, è stato sbriciolato tutto. Ecco, come armenisti italiani, abbiamo il timore che questo possa ripetersi se il Karabakh verrà completamente consegnato nelle mani dell’Azerbaigian. Siamo preoccupati come studiosi che a prescindere dall’esito politico e militare della guerra, che comunque ha avuto precise conseguenze umane ed umanitarie, si possa verificare un’altra tragedia culturale di questo tipo.
Cosa c’è dietro la strategia di un Paese a distruggere i siti culturali del Paese nemico?
Ci sono molte considerazioni da fare. L’Azerbaigian aveva perduto nel 1994 la guerra contro gli armeni e adesso l’ha vinta. C’è quindi una forte avversione nei confronti del nemico vincitore e si è vendicato della sconfitta, distruggendo appunto nel Nakhichevan questi monumenti. C’è poi un’altra questione più complessa: mentre gli armeni, i georgiani e i vicini persiani hanno una identità storico e culturale molto chiara e antica, l’Azerbaigian ha una storia culturale più recente. Quando un’identità non è solida nelle proprie fondamenta, tende a rafforzare ciò che è debole, distruggendo ciò che mette in difficoltà.
Cosa perderebbe l’Europa se venisse meno la millenaria presenza armena in questa Regione?
Posso rispondere a questa domanda in maniera personale. Girare in ciò che è stata l’Armenia in Turchia o nei territori armeni che fanno parte ora dell’Azerbaigian, è qualcosa che ad un europeo fa un male terribile perché significa vedere tracce di una civiltà cristiana millenaria distrutta completamente insieme al popolo che l’aveva edificata. Ma questo dolore vale ed è equivalente se venisse preso di mira qualsiasi patrimonio artistico religioso di altre fedi. Se parliamo di ciò che è successo agli armeni in Turchia, andiamo indietro nel tempo di 100 anni fa; se parliamo di ciò che è stato distrutto nel Nakhichevan, stiamo parlando di 30 anni fa. Noi non vogliamo che la stessa cosa avvenga ora in Karabakh.
Si ripete quello che è successo anche in altre parti del mondo, come per esempio nella Piana di Ninive ad opera di Daesh. Perché per colpire un popolo, si decide spesso di annientare anche il suo patrimonio artistico e religioso?
È quello che viene chiamato il “genocidio culturale”. Se si va, per esempio, nell’antica capitale armena di Ani, in Turchia, i monumenti sono preservati ma nelle didascalie i nomi armeni non sono mai presenti. La memoria storica viene cancellata, falsificando la realtà. In Azerbaigian nella regione dello Nakhichevan nelle guide turistiche non si fa mai menzione dei monumenti armeni, negando in questo modo che ci sia mai stata una presenza armena in questi territori. Ma noi abbiamo biblioteche intere che attestano questa presenza, documenti e foto recenti di chiese e cimiteri ma la falsificazione storica, culturale e politica può far dimenticare, anche in tempi anche brevi, una realtà artistica, antropologica e religiosa antica di millenni. Può succedere.
Voi avete scritto una Lettera al governo italiano e alla Segreteria di Stato vaticano. Cosa vi aspettate?
L’Azerbaigian ha vinto la guerra. Ha quindi ottenuto quello che voleva. Quello che si può e si deve chiedere all’Azerbaigian è di mantenere le promesse fatte da Ilham Alyev, presidente azero, al presidente russo Vladimir Putin, e cioè di salvaguardare il patrimonio artistico, culturale e religioso armeno. Lo deve fare sotto l’osservazione costante dei governi italiano e europei e dell’Unesco.