L’attentato di Vienna, con al momento 4 civili morti e 17 feriti di cui 7 in gravi condizioni, “indica la volontà dei terroristi di riorganizzarsi sul territorio e di dare una risposta agli appelli che, da aprile ad oggi, sono stati lanciati dallo Stato Islamico, o da ciò che ne resta, e da Al Qaeda che hanno esortato i loro seguaci a colpire in Europa”. È quanto dichiara al Sir Claudio Bertolotti, direttore esecutivo dell’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo (React), autore del libro “Immigrazione e terrorismo: I legami tra flussi migratori e terrorismo di matrice jihadista” (ed. Start InSight).
Dal Bataclan a Vienna. Commentando l’attacco terroristico di ieri sera nella capitale austriaca, l’esperto afferma che “purtroppo l’attentato ha avuto successo poiché ha provocato vittime. Gli attentatori hanno mostrato una discreta capacità di condurre guerriglia urbana anche se non in modo efficace”.
L’attentato di Vienna, che ricorda nelle modalità gli attentati di Parigi, al Bataclan nel 2015 e a Bruxelles nel 2016, con centinaia tra morti e feriti, spiega Bertolotti, ha avuto un “minore successo strategico. Gli attacchi in Francia e Belgio, infatti, riuscirono a bloccare il traffico aereo europeo. A Vienna si è registrato solo un blocco funzionale a livello cittadino, quindi più limitato, sebbene abbia portato alla mobilitazione delle Forze armate e uno schieramento imponente di poliziotti”. Inoltre, aggiunge l’esperto, che è anche direttore di Start Insight, organismo che si occupa di temi geopolitici, “a Parigi e Bruxelles gli attentatori avevano espresso e portato a compimento un’azione suicida vera e propria. A Vienna questa volontà è mancata”. Stando alle notizie che arrivano, oltre a un terrorista ucciso, ci sarebbero dei complici in fuga: “se questi ultimi avessero voluto immolarsi – rimarca Bertolotti – si sarebbero fatti uccidere armi in pugno così da morire da martiri e ottenere una grande eco nella cosiddetta comunità dei radicalizzati”. Altro elemento che differenzia gli attentati di Parigi e Bruxelles da quelli di Vienna è “il mancato utilizzo di esplosivi” come testimonia l’uso di una falsa cintura kamikaze da parte dell’attentatore neutralizzato nella capitale austriaca. “Un elemento che dimostra la minore capacità tecnica di questi attentatori rispetto ai loro colleghi di Parigi e Bruxelles”. Per Bertolotti la scelta del giorno, la vigilia del lockdown, “potrebbe non essere casuale. Le misure di contenimento del Covid in vigore da oggi avrebbero, infatti, tolto dalle strade e dai luoghi pubblici i potenziali obiettivi. Bisognava agire con tempestività prima dell’entrata in vigore del lockdown”.
Uno sfondo religioso. Il direttore esecutivo di React evidenzia, inoltre, un elemento religioso che sembra unire il recente attentato nella basilica di Notre-Dame a Nizza (29 ottobre) con quello di Vienna, consumatosi vicino alla sinagoga Stadttempel, situata in centro città.
“A Parigi e Bruxelles i terroristi colpirono in maniera indistinta, attaccando la nostra quotidianità di cittadini europei, la nostra laicità. A Nizza lo sfondo sembra essere la contrapposizione tra laicità e Islam e la questione della non ingerenza di quest’ultimo nella vita pubblica laica. Da Nizza arriva un attacco chiaro ai simboli dell’Occidente, stavolta religiosi. Attaccare obiettivi indifesi e altamente simbolici, come chiese e sinagoghe serve ad ottenere una maggiore visibilità”.
Rispetto alla possibilità che l’attentato di Vienna sia replicabile anche in Italia, Bertolotti dice che “non è da escludere sul piano teorico. L’accesso alle armi non è difficilissimo visto anche il legame comprovato tra criminalità organizzata nordafricana e italiana. Le armi ci sono e potenzialmente anche i terroristi. L’Italia è un potenziale punto di approdo di terroristi, ma da noi – avverte – ci sono meno soggetti cooptabili rispetto a Francia, Regno Unito e Germania. Occorre cautela nell’affermare che gli immigrati rappresentano un rischio solo perché un attentatore era immigrato”. Va, invece, segnalato “un aumento, tra gli immigrati irregolari in Ue, di coloro che aderiscono a gruppi integralisti islamici.
La situazione in Italia appare sotto controllo anche per via del fatto che abbiamo meno immigrati di seconda e terza generazione che potrebbero radicalizzarsi. Ci manca un passato coloniale al pari di quello francese e britannico e questo è un vantaggio dal punto di vista securitario.
Abbiamo in essere diverse misure di contrasto con un elevato numero di attacchi sventati. Tuttavia – conclude Bertolotti – non dobbiamo abbassare la guardia. La pandemia sta aggravando le differenze sociali ed economiche di ampie fasce della popolazione e potrebbe favorire anche scelte radicaliste di soggetti resi più vulnerabili dalla crisi e dal Covid. Non è un caso che molti foreign fighters che hanno combattuto nello Stato Islamico provengono, per esempio, dalla Tunisia, un Paese in gravissima crisi”.