Il 16 ottobre saranno trascorsi tre anni dal barbaro assassinio di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa perché la sua attività di cronista investigativa era diventata insopportabile. La giustizia non è ancora riuscita ad arrivare al fondo e trovare il nome di chi ha ordinato di metterla a tacere per sempre. Il marito Peter, insieme ai tre figli Matthew, Andrea e Paul, portano avanti la battaglia per fare verità su una vicenda di corruzione e frode che pare avere tentacoli anche oltre la piccola Malta. La famiglia ha raccolto una scomoda eredità dalla madre; c’è anche una Fondazione che ne porta il nome e ne mantiene vivo lo spirito.
Proseguono le indagini. Tre persone sono state condannate perché esecutori materiali dell’omicidio, ma è ancora sconosciuto il nome del mandante. Intricate e complesse le trame delle indagini. Lo snodo più recente è l’arresto di Keith Schembri, all’epoca dell’omicidio capo di gabinetto del premier Muscat, dal 22 settembre è in carcere (di nuovo) perché sospettato di riciclaggio. Questa pedina forse servirà per chiarire i loschi legami tra affari e politica – che erano al centro delle indagini di Daphne Caruana Galizia – nel lungo regno del premier Joseph Muscat, da tutti riconosciuto come meritevole di aver rilanciato economicamente la sua piccola isola, ma – secondo alcuni – cedendone l’anima a meccanismi corruttivi. Tra l’altro Muscat, dopo essersi dimesso da capo del governo a gennaio, nei giorni scorsi ha lasciato anche il proprio seggio in Parlamento tra le fila del partito laburista. “Muscat potrebbe aver pagato un prezzo politico per i suoi atti di commissione e omissione”, ha scritto The Times of Malta riportando la notizia e osservando che “le ruote della giustizia hanno ultimamente iniziato a girare con un attrito leggermente inferiore rispetto al periodo in cui era in carica” Muscat. Al lavoro c’è dal novembre scorso, dietro insistenti richieste del Consiglio d’Europa, una commissione d’inchiesta indipendente maltese; più volte la famiglia ha chiesto invano al procuratore generale di Malta di rivolgersi all’Europol e avviare una squadra investigativa internazionale. Anche perché le ramificazioni della vicenda che Daphne aveva scoperto, portano lontano da Malta. Ora una speranza è rappresentata dal procuratore capo europeo Laura Codruţa Kövesi e dai 22 membri della nuova Procura europea (Eppo) che il 28 settembre scorso hanno prestato giuramento. Proprio Kövesi, nel suo discorso inaugurale si è impegnata a sciogliere il caso di Daphne Caruana Galizia e di un altro giornalista, lo slovacco Jan Kuciak, anche lui vittima, insieme alla fidanzata, di un attentato legato alle sue attività investigative sulle frodi fiscali nel suo Paese il 25 febbraio 2018.
Una lunga lista. L’elenco dei nomi di giornalisti uccisi perché facevano troppo bene il proprio lavoro è lungo: c’è quello di Anna Politkovskaya, che investigava sulle violazioni dei diritti umani in Russia e in Cecenia. È ancora sconosciuto il nome di chi l’ha uccisa in un giorno di ottobre di 14 anni fa. C’è Lyra McKee, la giovane giornalista uccisa il 18 aprile 2019 a Derry, nell’Irlanda del nord: è stata colpita mentre si occupava delle tensioni in corso nella zona. La Nuova Ira ha riconosciuto la paternità dell’omicidio, per mano di un suo volontario mentre “lei si trovava al fianco delle forze nemiche”. C’è Sajid Hussain Baloch, caporedattore della testata Balochistan Times, trovato morto nelle acque del Fyris a Uppsala, il 23 aprile scorso. Era scappato dal Pakistan nel 2012 perché minacciato di morte: aveva raccontato di sparizioni forzate e crimine organizzato nel suo Paese. Il 20 giugno del 2019 l’ucraino Vadym Komarov è morto per le ferite riportate in un attentato 6 settimane prima. Stava preparando un servizio sulla corruzione nelle scuole sportive.
Il 6 ottobre 2018 era stata la volta della trentenne bulgara Viktoria Marinova violentata e soffocata in un parco a Ruse. Pochi giorni prima aveva presentato un programma in cui si riferiva di indagini legate al reindirizzamento illecito di fondi europei. Si possono anche ricordare i giornalisti di Charlie Hebdo, uccisi nell’attentato del 7 gennaio 2015, o Jamal Khashoggi, del Washington Post scomparso il 2 ottobre 2018, nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. O la free lance Kim Wall scomparsa il 10 agosto 2017 o ancora il polacco Lukasz Masiak, ucciso nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2015 a Mlawa per i suoi racconti scomodi sull’amministrazione locale.
Pressioni e violenze. Ci sono poi giornalisti così esasperati dalle pressioni che ricevono, da darsi la morte, come è successo pochi giorni fa a Nizhny Novgorod, in Russia, dove Irina Slavina si è data fuoco dopo che la polizia era entrata nella sua casa e aveva sequestrato tutto il materiale di lavoro alla ricerca di prove che la riconducessero al gruppo di opposizione “Open Russia” sostenuto da Mikhail Khodorkovsky. Ci sono anche giornalisti arrestati e condannati con accuse false e pretestuose; il caso più recente è quello di Jovo Martinović, condannato il 9 ottobre in Montenegro per traffico di droga, ma lui stava investigando sul traffico di armi. Il Consiglio d’Europa si è già espresso più volte chiedendo un giusto processo per Martinović e denunciando il rischio nella regione di pressioni sui giornalisti attraverso processi e detenzione. In questa categoria possiamo anche includere i 40 giornalisti arrestati l’11 ottobre in diverse città della Bielorussia mentre erano in piazza per seguire le manifestazioni di protesta contro il presidente Aleksander Lukaschenko.
Al Consiglio d’Europa. Ci sono però fortunatamente alcune istituzioni, anche a livello europeo, che sostengono la battaglia per la libertà di stampa; accanto alla Federazione europea dei giornalisti, c’è la “Piattaforma per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti”, promossa dal Consiglio d’Europa, che nel 2019 ha raccolto 652 segnalazioni e denunce riguardo atti di intimidazione, pressioni, attacchi fisici, arresti verificatisi in Europa (e solo nel 42% dei casi c’è stata una risposta statale).
Un premio a suo nome. Anche il Parlamento dell’Unione europea è molto attento al tema della libertà di stampa e alla difesa di questo fragilissimo diritto democratico, e spesso fa sentire la sua voce quando – in particolare all’interno dei suoi Paesi membri – i giornalisti sono attaccati. In questa direzione va anche il Premio Sacharov istituito dall’Assemblea Ue. E negli ultimi tre anni l’Europarlamento è spesso intervenuto per chiedere che a Malta si arrivasse alla verità sulla morte di Daphne Caruana Galizia. Pochi giorni fa ha anche istituito il “Premio Daphne Caruana Galizia per il giornalismo”, che andrà a “eccezionali opere di giornalismo incentrate sui principi e i valori dell’Ue” e sarà selezionato da una giuria indipendente, “senza interventi politici, per garantire la sua indipendenza e la libertà di stampa”, ha assicurato il presidente David Sassoli.