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Manifestazioni in Bielorussia. Mons. Aliaksander Yasheuski (Mogilev): “Solo il dialogo ci salverà”

“Le manifestazioni in Bielorussia sono pacifiche. Non sono aggressive. Tutto il mondo ci sta guardando e ci sta ammirando proprio per questo. Quando, nei primi giorni di protesta, gli uomini sono stati imprigionati, a scendere in campo e a prendere in mano la situazione sono state le donne. Sono le donne oggi la voce dei loro mariti e dei loro figli”. Parla il vicario episcopale per la città e la regione di Mogilev, mons. Aliaksander Yasheuski, all’indomani dell’appello lanciato all’Angelus da Papa Francesco. La parola-chiave per uscire dalla situazione che sta scuotendo la Bielorussia, è “dialogo”. “Se i responsabili politici non si mettono in dialogo, non potranno mai capire quali cambiamenti la popolazione sta chiedendo”

“La nostra gente sta manifestando in modo pacifico la sua posizione. Anche ieri una colonna di 400mila persone è scesa per strada a Minsk senza mai andare allo scontro. E questa è la cosa più importante”. È il vicario episcopale per la città e la regione di Mogilev, il salesiano mons. Aliaksander Yasheuski, a raccontare al Sir l’ennesima giornata di protesta in Bielorussia e soprattutto come i vescovi e i cattolici del Paese hanno accolto le parole pronunciate da Papa Francesco al termine della preghiera dell’Angelus. Rivolgendosi alle “numerose manifestazioni popolari di protesta”, il Santo Padre ha detto: “Mentre esorto i dimostranti a far presenti le loro istanze in forma pacifica, senza cedere alla tentazione dell’aggressività e della violenza, faccio appello a tutti coloro che hanno responsabilità pubbliche e di governo di ascoltare la voce dei loro concittadini e di venire incontro alle loro giuste aspirazioni assicurando il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà civili”.

Mons. Yasheuski, come avete interpretato queste parole?

Bisogna innanzitutto dire che il Santo Padre non ha nominato nessun Paese in particolare e tanto meno ha citato il nome della Bielorussia. Però, noi come pastori di questo Paese, abbiamo visto nelle parole del Santo Padre una situazione che stiamo vivendo. Dopo le elezioni presidenziali del 9 agosto, la nostra gente ha cominciato a scendere in piazza per dare voce ai problemi e al desiderio di un futuro diverso e migliore. Anche se il Santo Padre non ha citato esplicitamente il nostro paese,

vediamo nell’appello lanciato ieri una parola del Papa per noi.

Il Papa si è rivolto ai manifestanti e ai leader politici, chiedendo dialogo e fine di ogni violenza. Sono settimane che il popolo sta manifestando. Lei crede che ci sia ancora spazio per una soluzione pacifica?

Sono parole importantissime. Le manifestazioni in Bielorussia sono pacifiche. Non sono aggressive. Tutto il mondo ci sta guardando e ci sta ammirando proprio per questo. Quando, nei primi giorni di protesta, gli uomini sono stati imprigionati, a scendere in campo e a prendere in mano la situazione sono state le donne. Sono le donne oggi la voce dei loro mariti e dei loro figli. Anche l’appello ai leader politici è importante, perché se i responsabili non si mettono in dialogo, non potranno mai capire quali cambiamenti la popolazione sta chiedendo e di che cosa ha bisogno. E infine il Santo Padre si è rivolto ai pastori e a tutta la comunità cattolica affinché favoriscano il dialogo pacifico, attivino processi di riconciliazione, promuovano il perdono ed è proprio quello che stiamo facendo in Bielorussia nelle ultime settimane.

Una soluzione pacifica dipende molto dalla volontà dei leader politici a cominciare il dialogo.

Dal 31 agosto, la Chiesa cattolica di Minsk non ha il suo arcivescovo, mons. Tadeusz Kondrusiewicz. Come state vivendo questa assenza?

Da una parte, non ci aspettavamo una decisione di questo genere. Il nostro metropolita si è recato in Polonia solo per celebrare e presiedere funzioni religiose. Le sue motivazioni non erano pertanto politiche. Quando però poi ha provato a tornare, è stato bloccato alla frontiera. L’arcivescovo ha chiesto le motivazioni e gli è stato spiegato, in una lettera, che il suo passaporto al ministero degli Affari Interni è stato riconosciuto “invalido”. Mons. Kondrusiewicz per la Chiesa cattolica in Bielorussia è una figura molto importante e fin dall’inizio delle manifestazioni, non ha mai pronunciato una parola politica. Mai si è schierato per una parte o per una persona in particolare. Ha sempre parlato per il bene del popolo. Ha sempre chiesto – alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa – dialogo, riconciliazione, perdono e verità, come il Santo Padre all’Angelus ieri.

In questo momento, la preghiera è la nostra unica forza.

In tutto il paese, dalle piccole parrocchie di campagna alle grandi cattedrali delle città, il popolo cattolico e tanti altri religioni presenti in paese stanno pregando per la pace nel Paese e per il ritorno in patria dell’arcivescovo.

Nei giorni scorsi il Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Paul Richard Gallagher, si è recato nella Repubblica di Bielorussia segno che anche il Vaticano sta guardando con attenzione questa situazione. Come vescovi, che cosa auspicate?

La Santa Sede è stata sempre molto attenta e benevola verso il nostro Paese e possiamo dire che ha sempre chiesto alla comunità internazionale di avere uno sguardo benevolo e di apertura verso la nostra nazione.

Per questo motivo, la Santa Sede è un amico della Bielorussia e del nostro popolo.

Noi, come vescovi cattolici, siamo stati molto contenti che mons. Gallagher sia venuto. Quando lui si è incontrato con il ministro degli Affari Esteri e dopo con i vescovi della Conferenza Episcopale della Bielorussia, ha detto di essere venuto per esprimere la vicinanza del Santo Padre e della Santa Sede al popolo Bielorusso e alla chiesa cattolica. Credo che queste parole dicano molto e quasi tutto.

Il ministro degli Affari esteri della Bielorussia, Vladimir Makei, ha ribadito proprio nei giorni scorsi l’invito a Papa Francesco a visitare il Paese. Questa situazione nel Paese allontana questa possibilità?

Penso che non è così. I papi nella storia sono sempre state figure di riconciliazione. Quante volte i papi hanno favorito processi di dialogo e di pace in contesti anche difficilissimi. Non abbiamo uno sguardo pessimista. Non direi quindi che questa situazione allontani questa possibilità. Magari, la rende possibile: il papa viene e aiuta il nostro popolo a ritrovare la strada della pace. Ricordo che quando san Giovanni Paolo II andò a Cuba, aveva un’età molto avanzata e in tanti sollevavano il rischio di una strumentalizzazione della visita. E invece il Papa andò convinto di poter dare con la sua presenza un contributo al bene di quel popolo. Questo è anche lo stile di Francesco, mettere l’uomo al centro del suo pensiero e della sua azione. Noi i vescovi anche abbiamo ribadito il nostro invito al Santo Padre di visitare la Bielorussia e i nostri fedeli, e abbiamo ringraziato che il Papa è vicino a noi con le parole e nei fatti.

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