“Nessun Paese oggi può dire di essere capace di uscire e salvarsi da solo”. Per questo è necessario affrontare le conseguenze della crisi “insieme e con una più grande solidarietà tra gli Stati membri”. È questo il messaggio che i vescovi della Comece lanciano oggi all’Unione europea, pubblicando un comunicato in cui prendono posizione sulla proposta del Next Generation Eu presentata ieri da Ursula von der Leyen. Un piano da 750 miliardi per salvare l’economia europea. “Pensiamo che sia veramente un buon segnale che traduce in concretezza il desiderio di solidarietà tra i Paesi Europei”, dice subito mons. Antoine Hérouard, presidente della Commissione per gli Affari Sociali della Comece, che ha redatto il comunicato. “All’inizio della crisi sanitaria, ci sono stati problemi. Ciascun Paese ha agito per conto suo e alcuni, come l’Italia, si sono sentiti abbandonati dagli altri. Con questa proposta abbiamo, a livello economico e anche sociale, un atteggiamento molto diverso e penso che sia una cosa positiva”.
Non è però detta l’ultima parola. La proposta dovrà passare al vaglio del Consiglio europeo del 19 giugno per ottenere il via libera unanime dei 27 governi dei Paesi aderenti. Poi tornerà all’Europarlamento per l’approvazione. Possono quindi ancora pesare le divisioni tra i Paesi più colpiti dall’epidemia che chiedono aiuto e solidarietà e i Paesi più “rigoristi”. Cosa chiedete all’Ue in questo passaggio delicato della sua storia?
Di riandare ai fondamenti della costituzione europea, alle ragioni per cui abbiamo deciso di mettere in comune un certo numero di politiche. L’Unione, come sappiamo, fu un progetto fortemente voluto e disiderato per favorire e rafforzare il processo di pace dopo la Seconda guerra mondiale, attraverso la creazione di solidi legami tra Paesi diversi. Queste origini, forse, sono state un po’ dimenticate negli ultimi anni perché sembrano appartenere ad un tempo passato. Dobbiamo però fare questo sforzo: mantenere lo spirito dei nostri padri fondatori.
Queste divisioni rischiano di disaffezionare i popoli europei alle istituzioni. Cosa rischia oggi l’Unione europea e quali possono invece essere le opportunità che emergono da questa crisi?
Il rischio principale è la divisione e con la divisione la fine della costruzione europea perché se ciascuno decide di andare per conto suo, diventa lecito domandarsi: perché rimanere in questo progetto di un futuro comune? Il rischio è di perdere tutto ciò che abbiamo costruito in questi anni, la libera circolazione delle persone, il libero scambio delle merci, l’Euro. Ciò che però può essere una opportunità, è proprio quello di ritrovare – alla luce della crisi che abbiamo vissuto – il senso di solidarietà tra i Paesi europei e compiere un passo avanti nella costruzione di un progetto che ha come centro l’uomo, la dimensione umana e non soltanto gli interessi finanziari.
Quali “lezioni” allora ci lascia questa prova del Coronavirus?
Il Covid-19 ci ha mostrato due cose. La prima è che almeno all’inizio è mancata la solidarietà, la prontezza ad aiutare i Paesi più colpiti dall’epidemia. La seconda è che per affrontare le conseguenze molto negative che questa crisi ha lasciato a livello economico e sociale, c’è bisogno di agire insieme. Nessun Paese può dire di essere capace di uscire e salvarsi da solo. Non è più possibile. Non esiste.
Nel comunicato, i vescovi Comece tracciano tre piste di lavoro fondate sul concetto di giustizia ecologica, sociale e contributiva. Qual è il messaggio che volete dare?
Questo desiderio di una più grande giustizia per tutti è qualcosa di molto profondo e radicato nella popolazione. Ma la giustizia non deve essere soltanto uno slogan. Deve avere un contenuto molto preciso. Deve essere una giustizia ecologica: è chiaro che dobbiamo cambiare il nostro modo di consumo e produzione. Deve essere una giustizia sociale forte perché la crisi sanitaria – come d’altronde tutte le crisi – crea ingiustizie e differenza tra quelli che possono continuare a camminare e quelli che invece rimangono ai margini della strada. E poi c’è una giustizia a livello finanziario e fiscale perché evadere le tasse non aiuta i più piccoli e i più deboli.
Insomma, da questa crisi, anche l’Unione deve uscire cambiata.
Deve uscire cambiata ma aggiungerei anche che l’Europa è attesa.
Vediamo un mondo spaccato. Si va approfondendo la divisione tra Stati Uniti e Cina, tra i Paesi poveri del Sud e Paesi ricchi. L’Europa può giocare un ruolo molto più forte per ristabilire un equilibrio ed è un suo dovere.