“Nel 1938 eravamo una quarantina a dare l’esame di maturità al Gymnasium a Wadowice”, ricorda Eugeniusz Mróz, l’ultimo dei compagni di Karol Wojtyla ancora in vita. Il 14 marzo scorso, infatti, Mróz ha compiuto cent’anni. Il 100° anniversario della nascita del suo amico, divenuto Giovanni Paolo II e anche santo, cade il 18 maggio.
Mróz con la famiglia arrivarono a Wadowice da un’altra città solo nel 1930, quando vi venne trasferito il padre, ufficiale della guardia di finanza polacca. Il caso volle tuttavia che la nuova abitazione scelta dalla famiglia Mróz fosse proprio accanto al piccolo appartamento occupato dai Wojtyla.
Così i due ragazzi divennero non solo compagni di scuola ma anche vicini di casa.
Non era più con loro la madre del futuro Papa, Emilia nata Kaczorowska Wojtyla, morta nel 1929, ma Eugeniusz si ricorda bene del fratello maggiore di Karol, di nome Edmund, con il quale giocavano a pallone.
“Non c’erano allora né campi sportivi e nemmeno delle palestre. Quando Lolek, come veniva chiamato Karol, era piccolo, suo fratello lo metteva in campo per fare da palo della porta. E capitava che il pallone calciato con forza finisse su quel palo vivente. Il piccolo Lolek cadeva a terra ma si rialzava subito, e riprendeva il suo posto. Quando divenne più grande anche lui si metteva a giocare a palla”, ha raccontato Mróz in occasione del suo precedente compleanno, quando ancora il coronavirus non imponeva misure di prevenzione.
Eugeniusz Mróz oggi vive in una casa di cura a Krapkowice non lontano da Opole. Nonostante l’età conserva tantissimi ricordi della lunga amicizia con Karol Wojtyla raccolti nel volume intitolato “La storia di un’insolita amicizia” che in questi giorni è in uscita in Polonia. Oltre alle memorie dello stesso Mróz, fa parte del libro anche il carteggio che i due si scambiarono negli anni 1970-2005. Per l’ultima volta Wojtyla e Mróz si sono visti nel 2002, quando il Papa venne a Cracovia per affidare la sua Polonia alla Divina Misericordia.
Eugeniusz Mróz si ricorda bene le parole che segnarono l’inizio del pontificato wojtyliano, quell’invito a “non avere paura” rivolto a tutto il mondo e che oggi interpreta come incoraggiamento ad essere non solo fedeli di Cristo ma anche uomini e donne “per bene”, capaci di aprire il cuore ai bisogni di fratelli e sorelle.
“Karol a scuola era molto bravo in greco e conosceva a memoria dei frammenti dell’Iliade di Omero ma era anche capace di leggere in originale le opere di Goethe e di Schiller – racconta Mróz –. Non solo era bravo e diligente, ma aveva anche un vero talento per le lingue”.
Il futuro pontefice spiccava tra compagni per la sua particolare rettitudine, sottolinea l’amico: “a scuola non permetteva a nessuno di copiare, e non dava suggerimenti in classe. Tuttavia non ricordo di averlo sentito rifiutare di aiutare uno di noi a fare i compiti. Nell’ultimo anno di scuola Karol era seduto nel quarto banco insieme ad Antek Bogdanowicz. Io stavo dietro, e potevo approfittare della sua poderosa postura durante i compiti in classe per servirmi di un qualche aiuto non permesso”.
“Abbiamo salutato la scuola il 27 maggio del 1938. Karol, che era il primo della classe, ringraziò i professori per il sapere trasmessoci, e per il duro lavoro compiuto per forgiare i nostri caratteri, assicurando che nelle nostre vite avremmo preservato i consigli che ci erano stati impartiti”, racconta Mróz. Aggiungendo che dopo la maturità le loro strade si divisero. Mróz andò a Cracovia per studiare giurisprudenza, durante la seconda guerra mondiale prese parte ai combattimenti nelle file dell’Armia Krajowa (Esercito nazionale clandestino), e poi si stabilì a Opole; mentre Karol scelse la facoltà di lettere dell’Università Jagellonica e durante l’occupazione nazista fu costretto a lavorare come operaio negli stabilimenti Solvay.
L’anziano compagno del Papa ricorda bene anche le passeggiate e le gite insieme a Lolek, e a suo padre Karol Wojtyla, che facevano intorno a Wadowice, all’epoca piccola città di soli 8mila abitanti. “Le escursioni ci portavano in cima al vicino monte Leskowiec, ma anche nei monti Beskidy, Pieniny, Gorce e Bieszczady. Per strada, per sentirci più vicini a Dio, ci fermavamo sempre per una preghiera davanti alle piccole cappelle agli incroci”.
“Ma Karol non sapeva solo pregare, gli piaceva anche cantare e ballare”, osserva Mróz.
“Aveva una bella voce. Prendeva parte anche agli spettacoli teatrali, organizzati dal nostro insegnante di lettere, ai quali come attrici invitavamo delle studentesse della scuola femminile di Wadowice. Mi ricordo tre di loro: Halina Królikiewiczówna, Kazimiera Żakówna e Danuta Płukówna, con le quali festeggiammo insieme anche il conseguimento della maturità. Allora ballammo tutti, anche Karol”.
Karol Wojtyla continuò a dedicarsi alla sua passione, il teatro, anche durante gli anni della guerra, quando gli spettacoli potevano essere presentati solo in clandestinità, e la loro scoperta da parte dei nazisti significava la condanna a morte. Parlando di quel periodo, un’altra amica di Wojtyla, Danuta Michałowska, raccontava che il futuro Papa quando riusciva durante le prove a ben interpretare il ruolo, essendone contento “era anche capace di fare la verticale sulle mani e camminare a testa in giù”.