La Russia ha vissuto quest’anno una Pasqua ortodossa blindata. A Mosca e nella regione moscovita le funzioni – che secondo il calendario giuliano si stanno svolgendo con una settimana di ritardo rispetto al mondo cattolico occidentale – sono state celebrate a porte chiuse e la Chiesa, anche qui, ha raccomandato ai fedeli di seguire le liturgie in diretta televisiva. Un mese fa si contava solo caso di Covid-19, ma negli ultimi giorni la curva di positivi ha cominciato a salire. Nelle ultime 24 ore sono stati confermati 4.26 nuovi casi di infezione, portando così il numero totale di contagiati a 47.121. Il bilancio totale delle vittime è di 361. Nella capitale russa si registra la maggioranza dei casi di Coronavirus: attualmente ci sono 8mila pazienti ricoverati nei vari ospedali. Il primario di una delle strutture sanitarie riconvertite per l’emergenza, Vitalij Gusarov del centro Pirogov, ha detto al BBC Russian Service che si è arrivati quasi al limite. “Se il flusso crescerà, non lo potremo più gestire”. “Le misure da mercoledì scorso sono diventate più strette”, conferma al Sir l’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi. Il sindaco Sergej Sobjanin ha annunciato l’obbligo di pass digitali per viaggiare su qualsiasi mezzo di trasporto pubblico e personale. La Chiesa cattolica aveva cominciato a prendere provvedimenti in anticipo e la quarta domenica di Quaresima, esattamente il 23 marzo scorso, è stata l’ultima celebrazione pubblica. “Dopo di che siamo passati alle celebrazioni online e nelle Chiese è rimasta la possibilità di pregare, confessarsi e ricevere la comunione seguendo le norme di sicurezza”.
Mons. Pezzi, come è andata la Pasqua?
È stata una “Pasqua nella Chiesa in famiglia” ed è stata molto toccante. Molti giovani mi hanno scritto, mandato foto. Mi colpiva la serietà a porsi con la propria vita, in queste condizioni, di fronte al mistero di Cristo Risorto. Ho preso anche l’iniziativa di fare tutti i giorni una benedizione serale alle famiglie, sempre via internet, tramite il canale YouTube. Anche questo momento ha provocato una vicinanza, un dialogo intenso tra il pastore e il popolo. E poi c’è zoom che utilizziamo per gli incontri. Siamo riusciti a far ripartire catechesi, momenti di formazione per i cresimandi, con i giovani.
Alla Messa mattutina a Santa Marta, nell’omelia, il Papa ha messo in guardia preti e vescovi dal rischio di rendere virtuale la Chiesa, invitando a vivere questo momento come transitorio, “per uscire dal tunnel, non per rimanerci”.
Sono molto d’accordo con il Papa. Questo aspetto noi, come vescovi della Federazione Russa, lo abbiamo affrontato e dal confronto siamo arrivati a tre “conclusioni in cammino”, se si possono chiamare così. La prima è che
occorre capire e accettare che questa è una circostanza, non è l’ideale.
Facevamo l’esempio del popolo ebraico in esilio a Babilonia: non erano in una condizione ideale ma date le circostanze, non potevano né sognare né progettare il ritorno alla normalità e cioè a Gerusalemme. Potevano solo vivere quel momento ed essere creativi nel viverlo. Una seconda considerazione è che questa circostanza può trasformarsi in una opportunità per riscoprire il valore della famiglia, della preghiera e del dialogo in famiglia, dell’ascolto della Parola di Dio fatto umilmente in casa. E infine – e questa è la terza considerazione – essere coscienti che se da una parte riscontriamo un aumento di generosità e disponibilità al piano di Dio, è anche vero che la convivenza in casa è difficile, a volte insopportabile, per alcuni anche motivo di isolamento e solitudine. Per questo abbiamo suggerito ai preti di fare telefonate, incontri via zoom, cioè di far percepire ai propri fedeli di non essere soli.
Come ne usciremo?
Questo tempo è il tempo del nostro giudizio, della nostra capacità di avere il coraggio di fare delle scelte, di riscoprire ciò che è essenziale, che dà un senso alla vita. Di riscoprire che c’è più gioia nel donare che nel ricevere. Questo è l’augurio ma anche la mia speranza: se questo tempo ci poterà ad un incremento di una civiltà della verità e dell’amore, allora non lo avremmo trascorso invano.
Altrimenti ci resterà o il rimpianto di quello che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto oppure tristezza.
Anche la Pasqua ortodossa è stata a porte chiuse. Che clima si respira in questi giorni?
Ho trovato una grande elasticità negli ortodossi, nel Patriarca e negli altri metropoliti. Un’attenzione molto realista alla realtà ed una capacità ad adattarsi alle circostanze, man mano che cambiavano. Certamente i fedeli ortodossi sentono molto l’impossibilità di andare in chiesa in questi giorni ma gli appelli del Patriarca sono stati anche molto belli. Facendo ricorso all’esempio e alla vita di alcuni santi, ha cercato di far capire al proprio popolo che occorre vivere la fede, e quindi anche la Pasqua, non come si è sempre fatto, o come vorremmo noi, ma come ci è imposto dalle circostanze della storia che sono luogo attraverso cui ci viene incontro Cristo oggi