Sia pure con una terribile scia di dolori e di distruzione, oltre che di bugie, si comincia in questi giorni, che corrispondono all’Ottava di Pasqua, a guardare avanti.
Nulla sarà come prima, ripetono tutti come un mantra. Ma questo comporta che dobbiamo responsabilmente prepararci. Consapevoli dei diversi livelli del problema e dunque della soluzione. Uno di questi senz’altro è l’Unione europea, da cui non si può prescindere.
L’Italia ha con l’Unione un rapporto molto complicato, frutto delle sue recenti nevrosi e debolezze.
Recenti anche se risalgono ad un decennio almeno fa, ovvero da quando l’Italia è stata, dei Paesi Ue, uno tra quelli che più hanno subito, per fragilità pregresse lentamente ma inesorabilmente accumulatisi, le conseguenze della grande crisi cominciata nel 2007-2008. Da quel momento siamo costantemente in affanno, nonostante continui e inconcludenti cambi di maggioranza e di governo. Siamo in affanno perché non sappiamo fare sistema.
Non è dunque un caso che all’Unione europea si sia riferito anche il Papa nel passaggio che più direttamente ci riguarda dal punto di vista politico, del messaggio “urbi et orbi” di Pasqua.
Ha evocato una prospettiva lunga, la ricostruzione dopo la guerra, e ha ripetuto due parole che costituiscono una coppia dialettica che noi italiani conosciamo bene, perché ha costituito la trama della nostra storia: rivalità/solidarietà. Per secoli l’abbiamo sperimentata nel nostro tessuto domestico: il rischio è che scandisca anche la vicenda di una Unione divisa.
Papa Francesco è andato molto oltre nell’endorsement (come si dice oggi) a favore di meccanismi di solidarietà che si possono estendere anche agli aspetti finanziari, quando ha evocato la necessità di “soluzioni innovative”. Comunque ha concluso su un tema veramente decisivo ovvero la necessità di prendere delle decisioni ispirate non ad interessi particolari”, ma a quelli delle “prossime generazioni”.
E per l’Italia ci sono qui quattro punti: due positivi e due problematici.
Il primo è la prova importante che gli italiani hanno dato in queste settimane, nonostante tutto. Il secondo è l’importante ricchezza che, ancora una volta nonostante tutto, ovvero nonostante l’inaccettabile crescente divaricazione sociale e territoriale, gli italiani stanno capitalizzando e che costituisce oggetto di concupiscenza.
Queste due combinate grandi risorse si scontrano con un persistente e crescente disordine, una “babele” l’ha definita un acutissimo osservatore come Marco Olivetti, tra i poteri istituzionali, i diversi livelli decisionali e di governo, oltre che con uno sfilacciamento del sistema politico e delle forze politiche, che acuisce una sensazione di impotenza.
Rendere coerenti questi quattro poli è complesso come la quadratura del cerchio. Ma è l’unica condizione per potere sedersi al tavolo delle decisioni europee con la giusta credibilità. E così voltare pagina davvero. Senza scaricare sugli altri le nostre nevrosi, ma svolgendo quel ruolo di protagonisti che ci compete e per cui tanto stanno facendo i cittadini.