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Coronavirus: #iorestoacasa diventi una virtuosa “norma” europea

Il Covid-19 si sta ormai diffondendo in tutti i Paesi del vecchio continente. Ma le iniziative assunte dai governi nazionali non sono coordinate fra loro, rischiando di compromettere la risposta all'epidemia. Ancora una volta appare necessaria un'azione che si avvantaggi della regia dell'Unione europea. Oggi nuova videoconferenza con i 27 capi di Stato e di governo

(Foto ANSA/SIR)

“Basta andare in ordine sparso”: si riassume con queste parole del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, l’atteggiamento che i Paesi Ue dovrebbero adottare dinanzi all’epidemia da Covid-19. Qui non valgono le antiche locuzioni, da “mors tua vita mea” al più saggio, ma improprio, “mal comune, mezzo gaudio”. Ora funziona solo il monito di don Lorenzo Milani: “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia”.

Tutelare la salute, “puntellare” l’economia. In queste ore si sperimenta ancora una volta un’Europa a ranghi sparsi: e non si tratta dell’Europa delle istituzioni di Bruxelles, ma quella degli Stati, delle capitali, dei governi… Ognuno marcia per la sua strada, con provvedimenti spesso tutt’altro che efficaci e, in qualche caso, provando a fare lo sgambetto ai vicini di casa (basti pensare all’incetta di mascherine). Per questo la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen rinnova l’appello più volte formulato in queste settimane: gli strumenti per la tutela della salute vanno condivisi (mascherine, guanti e altre attrezzature sanitarie) utilizzando le regole del mercato unico; chiudere le frontiere non porta vantaggi (le merci devono circolare); occorre rimettere in gioco i fondi comunitari (e Von der Leyen indica 37 miliardi dal bilancio Ue) per sostenere l’economia. In tutta l’Unione, poi, vanno assunti gli stessi provvedimenti precauzionali adottati dall’Italia: #iorestoacasa non può che diventare una “norma” europea. Punto.

“Sostenere, coordinare, completare…”. Occorre comunque ricordare – come il Sir ha già fatto – che l’Unione europea non ha competenze, né esclusive né dirette, in fatto di salute pubblica e di protezione civile, ma può “svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare” in tali ambiti “l’azione degli Stati membri” (art. 6 Trattato sul funzionamento dell’Ue). L’Ue non ha competenze in questi settori semplicemente perché gli Stati membri non le cedono i poteri necessari per agire. Così, anche per evitare errori compiuti nel 2008 di fronte alla crisi finanziaria, e nel 2015 dinanzi a quella migratoria, occorrerà porsi al più presto, senza tentennamenti, una riflessione politica seria e concreta: cosa ne vogliamo fare dell’integrazione europea? Vogliamo porla davvero al servizio dei cittadini, dei consumatori, delle imprese, degli agricoltori, della salute pubblica, della sicurezza? Ebbene, in quel caso sarà doveroso accrescerne le competenze, con nuove, parziali cessioni di sovranità nazionale, utili ad accrescere , in futuro, le stesse sovranità nazionali ma in un orizzonte più ampio. Tutto questo si chiama, in breve, “bene comune europeo”.

È il momento di muoversi assieme. Nell’Europa (come del resto accade per tutti i continenti) minacciata dal coronavirus Covid-19 è dunque urgente muoversi di comune accordo. Ci risparmino le loro prediche i nazionalisti che fino a ieri avrebbero chiuso la “casa comune”; questo è il tempo di coordinarsi e di agire assieme. Gli Stati, muovendosi appunto in ordine sparso (Germania, Francia, Polonia e, soprattutto Regno Unito), rischiano di compromettere una risposta compatta all’epidemia, che, come ampiamente dimostrato, non bada ai confini. Non servono misure contraddittorie, ma interventi seri, basati sulle indicazioni degli esperti (scienziati, medici…). L’Italia – dove pure non sono mancati tentennamenti ed errori – è ora presa ad esempio da diversi governi.

Il passo giusto. Fra l’altro si teme che il contagio raggiunga Paesi dove i sistemi sanitari sono meno attrezzati: è la preoccupazione che giunge da Albania, Bulgaria e altre nazioni dell’est europeo (timori accresciuti da un’eventuale epidemia in Africa o America Latina…). Quindi: “Basta andare in ordine sparso”. Ciò non è sufficiente per guarire i malati, non ferma all’instante il contagio, non mette al riparo da ricadute di medio e lungo periodo in campo sociale ed economico. Ma appare come il passo giusto per far fronte al diffondersi del virus.

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