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Bilancio Ue: i governi, a ranghi sparsi, tagliano le gambe all’Europa

Il Consiglio europeo che si svolge oggi a Bruxelles non lascia ben sperare circa l'accordo sul Quadro finanziario pluriennale, strumento necessario per programmare azioni, investimenti e fondi comunitari nel periodo 2021-2027. Ogni ritardo nell'approvazione porterebbe danni concreti a progetti riguardanti, ad esempio, l'innovazione digitale, la sicurezza, la lotta al cancro, l'istruzione giovanile, la ricerca sulle fonti energetiche, l'agricoltura, le Pmi. Ma le posizioni sono distanti. Forte richiamo dall'Europarlamento ai capi di Stato e di governo

(Foto UE/Sir)

Duecentotrenta miliardi, euro più, euro meno. È quanto divide – in soldoni – la proposta di bilancio pluriennale (tecnicamente Multiannual Financial Framework 2021-2027, o Quadro finanziario pluriennale) espressa dal Consiglio rispetto a quella proveniente dal Parlamento europeo, i due organismi di bilancio dell’Ue. La seduta straordinaria del Consiglio europeo, fissata per giovedì 20 febbraio a Bruxelles, dovrebbe mettere un punto fermo sulla proposta dei capi di Stato e di governo dell’Unione, per poi tornare al tavolo dei negoziati con i rappresentanti dell’Europarlamento. Da una parte il cordone tirato dei governi, guidati da Charles Michel; dalla parte opposta le richieste di maggiori fondi provenienti dagli eurodeputati, guidati da David Sassoli; in mezzo, col ruolo di guardiano dei trattati e motore delle politiche Ue, la Commissione di Ursula von der Leyen.Questi i protagonisti di un summit che non darà esiti significativi anche perché al suo interno il Consiglio europeo vede presidenti e premier nazionali a loro volta divisi. C’è chi, soprattutto tra gli Stati più ricchi (i cosiddetti “frugali”), del centro e nord Europa, vorrebbe versare meno al budget comunitario perché già si ritiene “benefattore” a vantaggio di altri Paesi (e coi venti nazionalisti che spirano ovunque si teme di perdere elettori); altri leader, per lo più dell’Europa orientale e mediterranea, esigono un bilancio più ricco, che porterebbe loro più fondi (e pazienza se sono altri a pagare). Ci sono – ancora – una serie di forti e trasversali differenze tra gli Stati relative a quali “rami” del bilancio assegnare priorità, ovvero dove investire: in agricoltura o nel digitale, nella difesa o nella risposta alle migrazioni, nella cultura o nella coesione territoriale? Sono solo esempi, ma per sottolineare quanto i governi siano su posizioni distanti tra loro.
Attorno alle cifre, fioriscono altri essenziali elementi, primo fra tutti quello delle “risorse proprie”: finora le casse comuni sono sovvenzionate da fondi provenienti dagli stessi Stati, in base alla capacità contributiva (Pil), e poi ripartiti in funzione del criterio della solidarietà: di più a chi a più bisogno. Il Parlamento chiede in particolare di passare progressivamente a risorse proprie – ad esempio con la Web Tax e la Carbon Tax – in modo da svincolare il budget Ue dalle alterne sensibilità politiche dei governi dei Paesi membri.
Al tavolo del summit di Bruxelles si arriva dopo tre proposte; più una quarta, poco efficace, avanzata all’ultimo momento dallo stesso Charles Michel. La proposta iniziale del bilancio pluriennale, proveniente, come esigono i trattati, dalla Commissione, si attestava a 1.134 miliardi di euro per sette anni, pari all’1,11 per cento del Prodotto interno lordo dei 27 Paesi membri. Il Parlamento europeo ha picchiato il pugno sul tavolo, definendo una propria proposta, pari a 1.324 miliardi, ovvero l’1,30 del Pil. La presidenza finlandese del Consiglio Ue lo scorso dicembre ha messo nero su bianco, mediando fra gli Stati, una bozza che si ferma a 1.087 miliardi, l’1,07% del reddito nazionale lordo complessivo. La irrilevante proposta di Michel si ferma attorno a questa stessa cifra. Questione di decimali? Sì, ma che in cifre assolute diventano appunto più di 230 miliardi di fondi in meno per finanziarie le attività che gli stessi Stati membri hanno assegnato, per competenza, all’Unione europea.Così, alla vigilia del vertice straordinario del 20 febbraio, la squadra negoziale del Parlamento europeo ha espresso un giudizio netto: la proposta di Charles Michel, a nome del Consiglio, per il prossimo Qfp “è molto al di sotto delle aspettative del Parlamento Ue e dei cittadini. Il presidente Michel prende come punto di partenza la dannosa proposta preparata a livello tecnico dalla Presidenza finlandese del Consiglio nel dicembre 2019. Dove ci aspettavamo investimenti significativi per realizzare il Green Deal e la transizione digitale e rafforzare l’Europa, Michel conferma, anzi, accentua, i tagli all’agricoltura, alla coesione, alla ricerca, agli investimenti in infrastrutture, alla digitalizzazione, alle piccole e medie imprese, al progetto Erasmus, all’occupazione giovanile, alla risposta alla migrazione, alla difesa e in molti altri settori”.
Il presidente del Parlamento Sassoli ha dichiarato prima di prendere la parola come ospite al Consiglio europeo di oggi: “siamo ancora lontani da una proposta accettabile”. Si tratta a suo avviso di “una proposta che contraddice le proclamate ambizioni su tre priorità che gli Stati membri – non il Parlamento – hanno posto al centro della loro azione: il clima, il digitale e la dimensione geopolitica. È una proposta che rischia di lasciare indietro l’Europa non solo rispetto ai suoi propri obiettivi, ma anche ad altri attori sulla scena internazionale come la Cina e gli Stati Uniti. Va nella direzione di quelli che pensano che Brexit significhi ‘meno Europa’, e quindi ‘meno budget’. Ma davanti alle sfide odierne non abbiamo bisogno di meno Europa, abbiamo bisogno di un’Europa più forte con un bilancio forte nell’interesse dei cittadini”.

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