Consiglio europeo

Brexit: accordo raggiunto, ma mancano ancora certezze. Dietro l’angolo lo spettro del “no deal”

A Bruxelles si è lavorato tutta la notte e nella tarda mattinata è giunto l’accordo per il recesso del Regno Unito dall’Unione europea. Ora i tempi sono strettissimi e gli ostacoli da superare rimangono notevoli. Anche perché un divorzio senza regole aprirebbe scenari peggiori di quanto si possa prevedere sul piano politico, economico e della pace fra le due Irlande

È rimasto un solo tempo verbale oggi a Bruxelles e Londra: il condizionale. Gli altri sono stati aboliti, assieme al buon senso. Ancora una volta, infatti, il Consiglio europeo (la riunione dei capi di Stato e di governo dell’Ue, convocati per oggi e domani all’Europa Building) è costretto a mettere da parte temi di massima urgenza e interesse per i Ventisette per assegnare la priorità assoluta al Brexit. Passano in secondo piano il bilancio comunitario (con relativi progetti e fondi), la lotta al cambiamento climatico, i rapporti con i Balcani; persino la guerra in Siria e il “nuovo ciclo istituzionale Ue”, ovvero il faticoso avvio della nuova Commissione, devono cedere il passo ai capricci britannici.
Dopo lunghe trattative è stato raggiunto, prima di mezzogiorno, un nuovo accordo con Londra (del quale al momento mancano i particolari); ma tale accordo “dovrebbe” essere approvato dal Consiglio europeo. E poi “occorrerebbe” ottenere il voto favorevole entro il 19 ottobre dal recalcitrante Westminster, dove “sembrerebbe” che i deputati nordirlandesi “vorrebbero” scaricare il premier Boris Johnson, insoddisfatti dall’accordo cucito in queste ore proprio a Bruxelles.
I condizionali potrebbero – sic! – proseguire: anche perché se l’accordo approvato al Consiglio europeo ottenesse il via libera della Camera dei Comuni, dovrebbe poi avere l’ultima benedizione ancora dal Consiglio dei leader Ue e dall’Europarlamento.

Il tutto entro il 31 ottobre, perché questo Boris Johnson ha promesso agli inglesi.

La giornata di oggi si era aperta con lo stop della leader unionista del Democratic Unionist Party (Dup, nazionalisti nordirlandesi), Arlene Foster, la quale aveva espresso opposizione ai contenuti dell’accordo su cui si è lavorato fra governo britannico e rappresentanti Ue. I confini doganali e la questione-Iva non soddisfano la piccola pattuglia nordirlandese, che con soli 10 deputati a Londra tiene in bilico il fragile governo Johnson.
Ciò che tuttora manca è la certezza di giungere a un punto fermo così che il Regno Unito possa lasciare – con buona pace di tutti – l’Unione europea entro il 31 ottobre. Johnson, che nel corso di studi deve aver perso le lezioni di diplomazia e prudenza, aveva affermato di preferire la morte piuttosto che rimandare un’altra volta l’uscita dall’Ue (la precedente deadline era stabilita allo scorso marzo). E con questa spavalderia aveva costretto la Regina Elisabetta a leggere nel discorso di apertura del parlamento una frase ultimativa: “Una delle priorità del mio governo sarà quella di assicurare l’uscita dall’Unione europea del Regno Unito il prossimo 31 ottobre”. Come rimangiarsi la parola?

È chiaro che nelle prossime ore potrebbero giungere novità

con il via libera al testo faticosamente concordato che consenta di accelerare i tempi di un divorzio consensuale tra Londra e i 27. Ma resterebbero sul tavolo una serie di incognite – legate ai tempi e alla volontà di Westminster di ratificare l’accordo – che non lasciano ben sperare.
E pensare che il referendum sul Brexit porta la data del giugno 2016. Da allora la politica inglese è implosa, i governi hanno perso ogni battaglia in parlamento, le opposizioni si sono rivelate frastagliate, il Paese si è spaccato sotto le pressioni degli interessi divergenti di Londra, Belfast e della Scozia. Mentre il resto d’Europa ha serrato i ranghi per tutelare i diritti dei cittadini europei che vivono e lavorano nel Regno Unito e per avere indietro i soldi che Londra deve al bilancio Ue (circa 40 miliardi). Un’ulteriore e giusta preoccupazione Ue è stata quella di evitare il risorgere di una frontiera invalicabile tra le due Irlande: da qui la proposta del vituperato (Oltremanica) backstop.
Oggi, condizionali a parte, arriveranno le prime risposte certe. Nella speranza che non siano negative e che si possa ripartire, dopo il Brexit, con una rinnovata e forte partnership tra i Ventisette e il Regno Unito.