Ccee

Chiese orientali cattoliche in Europa. Frontiere profetiche chiamate a “portare pace e perdono dove regna la discordia”

E’ in corso a Roma l’incontro annuale dei vescovi delle Chiese orientali cattoliche in Europa. Sono i rappresentanti delle Chiese greco-cattoliche maronita, caldea, armena, siro-malabar. Stanno riflettendo sulla loro “missione ecumenica” e il disagio che provano quando vengono chiamate in modo dispregiativo “Chiese uniate”. S.B. Shevchuk ha raccontato di averne parlato lo scorso 4 luglio con Papa Francesco. “E Lui quando ha sentito di questa nostra difficoltà e del bisogno di approfondire il modo come noi orientali possiamo essere catalizzatori dell’Ecumenismo, ha detto letteralmente queste parole: ‘Mi offro per questo incontro’”

“Possa questo nostro incontro affrettare la piena unità di tutti i cristiani, della quale l’Europa ha tanto bisogno! Possano i nostri scambi e le nostre riflessioni contribuire, anche modestamente, al compimento della preghiera di Gesù Cristo ‘affinché tutti siano una sola cosa’”. Con queste parole il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) ha aperto a Roma l’incontro dei vescovi orientali cattolici che quest’anno ha scelto di approfondire il tema “La missione ecumenica delle Chiese orientali cattoliche d’Europa oggi”.

I loro volti portano nel cuore della Chiesa cattolica i volti delle “Chiese sui iuris”, chiamate così perché sono in piena comunione con la Chiesa di Roma ma si distinguono per forme diverse di rito liturgico e pietà popolare, per terminologia e tradizione teologiche. In Europa ci sono vescovi di Chiese greco-cattoliche, maronita, caldea, armena, siro-malabar. Un mondo dalla fede profonda e antica, una presenza spirituale preziosa in una Europa secolarizzata. Eppure rappresentano una realtà sconosciuta, spesso addirittura scartata, additata più come un problema che come una risorsa del cammino ecumenico. Ad accogliere a Roma i vescovi, ci sono stati anche il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali e il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. Con il superamento dell’ “uniatismo” come modello per raggiungere la piena e visibile “unità” della Chiesa, le Chiese orientali cattoliche – confessa S.B. Sviatoslav Shevchuk, capo e padre della Chiesa greco-cattolica Ucraina –  si sentono messe in discussione, addirittura negate.

Terre di mezzo tra l’Oriente ortodosso e l’Occidente latino, vivono la chiamata ecumenica non come “facoltativa” ma come “una missione che fa parte” delle loro identità.

Shevchuk ha raccontato di aver parlato lo scorso 4 luglio con Papa Francesco della necessità di approfondire “la nostra missione ecumenica in Europa oggi”. “E Lui quando ha sentito di questa nostra difficoltà e del bisogno di approfondire il modo come noi orientali possiamo essere catalizzatori dell’Ecumenismo, ha detto letteralmente queste parole: ‘Mi offro per questo incontro’”.

“Frontiera profetica”. Così il cardinale Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin ha definito il ruolo che le Chiese orientali cattoliche possono svolgere nell’attuale contesto geo-politico. E questo per tre ragioni. Sono “un vero e proprio avamposto profetico” per la loro collocazione geografica, trovandosi quasi tutte in territori “caldi” dove si registrano situazioni di conflitto e di rischio per l’incolumità dei cristiani. Per la loro storia, ha proseguito Parolin, le Chiese orientali cattoliche “hanno sempre testimoniato un profondo amore alla Sede apostolica”,  pagando questa fedeltà a Roma anche con il sangue. E per la loro natura, “sono preziose nel dialogo ecumenico” perché si trovano in quella “terra di mezzo e di incontro con le Chiese ortodosse”. A questo proposito, il cardinale ha toccato anche la delicatissima questione dei rapporti con la Chiesa ortodossa Russa da cui però – ha detto – non si può prescindere sia per il ruolo geopolitico che la Federazione Russa gioca sulla scena internazionale, sia perché la sua Chiesa rappresenta “un patrimonio spirituale e teologico che non può essere messo di lato”. Da qui  l’imperativo di

“non interrompere il dialogo con la chiesa ortodossa russa”.

La linea da seguire è quella che la Santa Sede e papa Francesco adottano anche nei contesti più difficili: “Adoperarsi per riportare la pace dove regna la discordia, considerare il perdono come l’unica medicina efficace dopo secoli di incomprensione, non dimenticando però che nel cristiano mai la carità si incontro senza la verità”.