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(Re)thinking Europe. Padre Poquillon (Comece), “l’Europa ritrovi di nuovo fiducia in se stessa”

Mentre in Europa, si dibatte sulla necessità di difendere i confini, i popoli scendono in piazza per chiedere l’indipendenza, e le battaglie elettorali si vincono cavalcando i populismi, papa Francesco e i vescovi della Comece chiamano tutti gli attori principali di questo Continente per un momento di dialogo e confronto su “(Re)thinking Europe – Il contributo dei cristiani al futuro del progetto europeo”. Appuntamento in Vaticano dal 27 al 29 ottobre

(Foto: Comece)

“L’Europa ha giocato un ruolo positivo nel passato. Ancora oggi è una delle prime economie del mondo ma ha la sensazione di essersi persa. È essenziale che l’Europa ritrovi di nuovo fiducia in se stessa, e la metta in opera, divenendo per il mondo intero fattore positivo di sviluppo, prosperità e pace”. A parlare è padre Olivier Poquillon o.p., segretario generale della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea). Il Sir lo incontra a Roma in un raro momento libero nel corso di una intensa giornata di lavoro per organizzare il dialogo internazionale “(Re)thinking Europe – Il contributo dei cristiani al futuro del progetto europeo”, che si terrà in Vaticano dal 27 al 29 ottobre e vedrà confluire vescovi, politici e rappresentanti a vario titolo della società civile d’Europa.

Un incontro fortemente voluto da papa Francesco e dai vescovi della Comece alla cui guida c’è il cardinale Reinhard Marx. “Questo incontro – precisa subito padre Poquillon – è innanzitutto un dialogo. Non è concepito come un congresso con relatori che parlano e presentano le loro soluzioni ad una platea che ascolta. È un dialogo tra persone con responsabilità diverse che condividono il comune impegno a lavorare per questa umanità che vive in Europa. Per iniziativa di papa Francesco, si tratta quindi di entrare in dialogo, un dialogo positivo e costruttivo, per mostrare all’Europa che la Chiesa è una forza propositiva oggi in Europa”.

L’Europa oggi sta affrontando una serie di sfide che la stanno fortemente mettendo alla prova. Tra queste, una delle più forti è sicuramente la questione delle frontiere e della difesa dell’identità europea. Che cosa significa oggi vivere lo spazio comune europeo?
La questione delle frontiere, delle identità ci fa ricordare quando l’impero romano ha cominciato a perdere forza e a costruire le limes, le frontiere attorno a lui, impiegando tutto se stesso nella difesa delle periferie, svuotando il suo centro. Oggi l’Unione europea corre lo stesso rischio, perdere il senso della sua missione, che è un progetto di pace e di impegno positivo per il bene comune. Con questo voglio dire, che

oggi non si tratta di difendere l’Europa, ma di promuoverla e mostrare che la nostra fede, le nostre culture, i nostri principi di democrazia sono buoni per noi ma possono essere condivisi.

Insomma, non si tratta di difendere una torta con la paura che diventi piccola se porzionata in troppi pezzi, ma di imparare a fare delle torte insieme. In questi 70 anni della sua storia, l’Europa ha dimostrato di essere capace a farlo.

Abbiamo conosciuto 70 anni di pace, abbiamo raggiunto un livello di prosperità mai raggiunto prima. Oggi la domanda è: che cosa vogliamo fare? Abbiamo conquistato prosperità e pace, ma per farne cosa?

C’è senza dubbio in questione la sfida di capire insieme quale direzione vogliamo intraprendere, qual è il senso del nostro stare insieme e la Chiesa può giocare un ruolo importante.

Altra questione calda in Europa sono la rinascita dei particolarismi. Cosa mostrano all’Europa?
Mostrano che oggi ci troviamo di fronte a due diversi modelli antropologici. Un modello personalista, di matrice cristiana, che considera la vita non come un bene di cui si possiede, ma di cui si è depositari. E un modello individualista, che conduce all’isolamento e alla divisione. Il confronto non è quindi tra persone ma tra due diverse concezioni della vita umana. Il vero nodo è capire come vincere questo processo di divisione e isolamento. Prima ancora che politica o culturale, la questione è di matrice spirituale.

Il Papa chiama l’Europa a Roma proprio quando gli europei non credono più nel progetto europeo. Cosa intendete dire a questa “Europa” che crede sempre meno a se stessa?
Il messaggio della Chiesa è sempre un messaggio di speranza. Che sia in Europa o altrove. Ad esempio, oggi la demografia europea è in calo ed è una evoluzione che genera preoccupazioni in tutti anche se non se ne parla a sufficienza.

Cerchiamo di perpetuare il nostro modello di sviluppo e crescita senza poi chiederci: ma per chi lo stiamo facendo?

Il nostro punto principale è rimettere la persona umana, creata ad immagine di Dio, al cuore della politica pubblica. Non si tratta quindi di sognare l’Europa di domani. Certo, sognare è importante perché stimola a pensare al futuro, a progettare. E l’Europa è capace di farlo. Ma oggi si tratta di capire che cosa vogliamo fare insieme, a partire da quello che siamo. E, cioè, con le nostre debolezze e i nostri punti di forza. Certamente non un ritorno al passato, né un rimpianto di quello che era l’Europa.

(Foto: Comece)

Come riconquistare la fiducia dei cittadini europei?
È vero. Le cose vanno certamente meglio, ma non per tutti. Se una politica funziona per i più deboli, funziona sicuramente per tutti. Il contrario non è sempre vero.

Prendersi cura dei più vulnerabili, dei più poveri è essenziale per costruire il progetto europeo.

Credo che il Papa ci stia lanciando una sfida, invitandoci a dialogare. Dialogo in un mondo che comunica ma non dialoga. E il dialogo, talvolta, chiede anche di rinunciare a parte delle proprie idee, per contribuire a costruire il bene comune. E chiede a ciascuno di fare la propria parte, vescovi, politici, cittadini europei.

E poter dire di nuovo: l’Europa è il mio continente, la mia cultura, il mio popolo.

Come fa l’Europa a parlare di pace, se attorno a lei e dentro i suoi confini geografici ci sono ancora guerre in atto?
La divisa dell’Europa è l’unità nella diversità. Diversità di culture, diversità di lingue, diversità di storie. La storia dell’Europa è segnata dalle guerre e la guerra esiste ancora alle nostre porte e in Europa, in Ucraina. Essere solidali oggi significa trovare soluzioni comuni. È essenziale che ciascuno si senta a casa nella famiglia europea, non come uno straniero al quale si fanno delle concessioni ma come membro della famiglia. I membri della famiglia possono essere molto diversi tra loro: abbiamo storie, abitudini, culture diverse ma condividiamo e siamo parte di un comune destino. E in questo destino comune, c’è anche il cristianesimo.

Quale ruolo, secondo lei, la Chiesa può svolgere?
Il ruolo dei cristiani che vivono in Europa è lo stesso di ogni uomo che vive in Europa: essere cittadini utili, attivi e gioiosi. La politica è una buona notizia se si mette dalla parte del bene comune. Non è più tempo di enunciare dei grandi principi, ma è il tempo di metterli in pratica.