“Abbiamo fatto tanti sacrifici, rischiato molto in viaggi pieni di insidie e vissuto con tante difficoltà per avere un futuro migliore e invece ci siamo trovati a lavorare in situazioni di sfruttamento”. È l’amara costatazione di Zakaria, un giovane marocchino di 26 anni, arrivato in Italia tre anni fa, nell’agosto del 2021, che ha vissuto in situazione di sfruttamento lavorativo e che è stato aiutato dalla Caritas di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi nel ritrovare la sua dignità e scoprire le sue competenze fino a decidere di lavorare come mediatore culturale nello stesso organismo pastorale. Quello dello sfruttamento lavorativo è un fenomeno diffuso, dal Nord al Sud Italia, anche se spesso “poco conosciuto perché nascosto”, come ha detto il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei. E l’impegno della Chiesa per debellare questo fenomeno è costante ed attivo da molto tempo a favore delle vittime di sfruttamento e per la sensibilizzazione delle comunità.
Dal 2014, infatti la Caritas Italiana, organismo pastorale della Cei, ha avviato il “Progetto Presidio” su sollecitazione di molte diocesi che sui propri territori registrano il fenomeno del caporalato e ricevono molte richieste di aiuto. Da qui la necessità di raggiungere in qualche modo queste persone negli insediamenti spontanei e nei manufatti abbandonati dove in tanti vivono durante i periodi di lavoro, soprattutto stagionali ma anche con azioni di sensibilizzazione delle comunità verso i temi dello sfruttamento delle persone e della terra nello spirito della Laudato si’, come dice Caterina Boca della Caritas Italiana: anche per questo è stata anche avviata la campagna “Conosci la sua storia?”. Dal 2014 ad oggi sono state assistite circa 10mila persone e sono state coinvolte circa 30 Caritas diocesane “molte delle quali, dopo aver avviato il progetto e consolidato alcune azioni, hanno proseguito il percorso in autonomia per quanto riguarda le azioni di assistenza diretta ai beneficiari pur rimanendo ugualmente in rete con gli altri presidi e la Caritas Italiana, poiché riconosciuta come un elemento di forza del progetto e delle stesse azioni territoriali”.
La storia di Zakaria è simile a tante storie di uomini e donne arrivate nel nostro Paese e che si sono ritrovate davanti a condizioni di lavoro marginalizzato. Zakaria ha percorso su un barcone il tragitto dal Nord del Marocco fino Tenerife, in Spagna. Un viaggio lungo e “molto sofferto”, dice al Sir: da lì in treno fino in Italia, ad Ancona e poi in Puglia, a Terlizzi. “Quando sono arrivato in Italia ho trovato tante difficoltà, ho dormito per strada e poi in una casa abbondonata, un vero e proprio tugurio, mentre lavoravo in una azienda floricola”. Una “abitazione” molto fredda, senza acqua calda, etc. Il giovane racconta: “Vestivo molto male ed ero sporco perché non riuscivo a lavarmi. La gente mi vedeva così e aveva molta paura. Mi tenevano lontano. Poi ho iniziato a lavorare, ma senza contratto perché non avevo i documenti. Mi pagavano 35 euro per 10 ore di lavoro al giorno.
Un vero sfruttamento oltre ad atti di razzismo e mancanza di rispetto.
E poi promesse non mantenute su una eventuale abitazione più dignitosa. Vivevo in una situazione di marginalità, condizioni precarie”. Disperato Zakaria trova la forza di rivolgersi alla Caritas che “mi ha aiutato” a “riscoprire le mie capacità, a ritrovare me stesso”. Grazie ai tanti volontari “ho provveduto a fare i documenti dopo anni di sofferenza e sono riuscito a trovare una casa. Successivamente ho trovato un lavoro in un’azienda ma lavoravo molte ore in più e venivo pagato solo per le ore stabilite dal contatto”. Oggi Zakaria ha trovato una sua sistemazione: “Si è sentito riconosciuto come persona – ci dice Edgardo Bisceglie, vice direttore della Caritas di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi – ed ha trovato il suo cammino vivendo ora in una casa e lavorando aiutando gli altri”.
“Vogliamo far capire che esiste un’altra via, un altro modo di agire, tenendo conto delle persone e dei loro diritti”, spiega il direttore della Caritas di Alba, don Mario Merotta, che evidenzia come nelle zone di Alba e nelle Langhe il fenomeno “c’è da diversi anni: si parla di tre o quattromila persone coinvolte, anche se fino a poco tempo fa se ne negava l’esistenza. Sono per lo più stranieri e lavorano soprattutto nell’agricoltura, nelle vigne, nella raccolta della frutta o nell’edilizia”. La Caritas ha un centro di prima accoglienza gestito insieme al Comune di Alba e al Consorzio socioassistenziale, serve un pasto serale e ha anche uno “sportello mobile e uno fisico e – dice Fulvio Favata – ci muoviamo nella zona per intercettare i lavoratori che non riescono o non possono venire da noi”. Nell’ultimo anno – ha spiegato – “siamo riusciti, in collaborazione con l’Ispettorato del Lavoro e le forze dell’ordine, a completare circa trenta pratiche di emersione del lavoro nero”.