Marco 10,2-16 (10,2-12): “L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”
Matrimonio cristiano, una controcultura?
Il tema che emerge dalle letture di questa domenica è il matrimonio. I farisei, per tentare Gesù, gli chiedono “se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie”. Il divorzio era una pratica comune nel Medio Oriente e in tutto il Mediterraneo. Anche la Legge di Mosè (Torah) lo permetteva, per iniziativa del marito, “se avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi” (Deuteronomio 24,1-4). La legge mosaica comunque voleva in certo modo proteggere la donna, obbligando l’uomo a scrivere un attestato di divorzio per permettere alla donna di sposare un altro.
Per quanto riguarda le motivazioni per il divorzio, c’erano al tempo due scuole rabbiniche con pareri molto diversi. La scuola di Hillel interpretava la legge in un modo lassista, per cui l’uomo poteva ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo. La scuola di Shammai, più rigorista, lo permetteva solo in caso di adulterio. Gesù non prende posizione riguardo alla diatriba rabbinica. Egli ritiene che Mosè abbia fatto questa concessione per la durezza del cuore dell’uomo. Il piano originale di Dio riguardo la coppia era tuttavia un altro. Dio li fece maschio e femmina e i due unendosi diventano una carne sola. Per cui Gesù conclude: “Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto!”.
A casa, i discepoli interrogano di nuovo il Maestro su questo argomento. Gesù ribadisce l’indissolubilità del matrimonio, mettendo a pari responsabilità uomo e donna. Nel testo parallelo di Matteo gli apostoli reagiscono con stupore a questa affermazione di Gesù, dicendo: “Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Matteo 19,10). La convivenza matrimoniale non è stata mai facile!
Punti di riflessione
1. Il matrimonio cristiano diventerà sempre più una controcultura, in contrasto con la mentalità imperante. Anche questo può essere un servizio reso alla società per contrastare la deriva soggettivistica di una sessualità “fai da te” e di un tipo di unione “usa e getta”.
Il cristiano “non fa da sé”! Non rinuncia ad avere l’orizzonte ideale evangelico come mèta della propria vita. Non abbassa l’asticella per risparmiare lo sforzo. Non si adatta ad uno stile di vita al ribasso, al “minimo denominatore comune”. E tutto questo malgrado la consapevolezza della propria debolezza, che diventa come una spina nella carne, ma che lo porta a fidarsi unicamente della grazia di Dio.
Il cristiano “non usa e getta” nelle sue relazioni personali e, a maggior ragione, nel rapporto matrimoniale. Per questo diventa un esperto in “riparazioni”. Non getta via, ma ripara! Un altro nome del cristiano potrebbe essere “riparatore di brecce” (Isaia 58,12). Solo così sarà sale della terra e luce del mondo.
2. Come puntare ad un ideale di amore così alto? Forse anche in questo caso Gesù ci risponda: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (Marco 10,27). Il matrimonio è davvero una sfida che mette alla prova la fede del cristiano. Per questo non potrà essere vissuto che… a tre, cioè mettendo Cristo al centro! Anche qui si realizza la parola del Signore: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Matteo 18,20).