Domenica 28 luglio – XVII del Tempo Ordinario

Gv 6,1-15

Spesso avviene che nell’anno liturgico B le pagine evangeliche siano tratte dal Vangelo secondo Giovanni e non da quello di Marco, sia per “integrare” un testo di per sé più breve degli altri sinottici sia per dare spazio anche a un vangelo che non ha un ciclo a sé dedicato. Nel caso di questa domenica e delle successive (fino alla fine di agosto) leggeremo in progressione il lungo, intenso capitolo 6 del quarto vangelo, spesso ricordato come quello del “pane di vita” sia per l’episodio della moltiplicazione proclamato oggi, sia per il lungo discorso seguente.

In realtà, anche nel Vangelo secondo Marco, se ne avessimo proseguito la lettura, avremmo incontrato la (prima, Marco ne racconta due) moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma in Giovanni questo segno è accompagnato appunto da un lunghissimo discorso “a tema” di Gesù, che la liturgia ci proporrà a frammenti nelle prossime domeniche.

L’episodio di oggi, celeberrimo nelle sue linee essenziali, parte da una situazione nota (grandi folle che seguono Gesù, attirate dal suo operare, v. 2) in un contesto cronologico che solo Giovanni specifica (l’approssimarsi della Pasqua) e si movimenta con un’iniziativa di Gesù: interrogare Filippo, uno dei Dodici, riguardo a dove sia possibile comprare pane per dare da mangiare alle persone radunatesi (v. 5). Se abbiamo dimestichezza con questo racconto particolare, sappiamo che in esso le domande di Gesù non vanno mai intese solo sul piano referenziale, ma mirano a portare il suo interlocutore a un piano più alto o più profondo di lettura della realtà. Il narratore ce lo conferma con l’inciso del v. 6, specificando la superiorità di Gesù sugli eventi a venire e il desiderio di “testare” Filippo (questo è il senso primario di peiràzo, qui non vi va colta alcuna “tentazione”) e, attraverso lui, tutti gli altri: ricordiamo che l’apprendistato discepolare deve passare anche attraverso alcuni momenti di “verifica” (uno decisivo,  immediatamente seguente, sarà l’attraversamento del “mare” ai vv. 16-21) di quanto stanno effettivamente comprendendo. E, ancora secondo lo schema tipicamente giovanneo, la risposta di Filippo resta al piano referenziale delle cose e delle necessità, giacché egli obietta che anche una cifra importante di denaro speso in pane non basterebbe a far avere a ciascuno un pezzettino (v. 7). Gesù non risponde ancora, ma subentra Andrea, con una mezza soluzione, presentata in tutta la sua inadeguatezza: un ragazzino lì presente avrebbe cinque pani e due pesci, ma il contrasto tra offerta e domanda è lampante; come lui, il lettore, con non poca ironia verso Andrea, si domanda: “cos’è questo per tanta gente?” (v. 9). Gesù, allora, dà il comando di far sedere la folla radunatasi e il racconto costruisce piano piano la splendida scena di un simposio, in cui Gesù “pastore” provvede al suo gregge (il riferimento all’erba verde del v. 10, condiviso con Mc 6,39, va a mio avviso in questa direzione). Come emergerà a una lettura ravvicinata, non avviene in questo racconto nessuna “moltiplicazione” con gesti particolarmente potenti, nonostante il titolo classico dell’episodio: Gesù compie i gesti del capofamiglia, prende, rende grazie, distribuisce ai seduti – prima il pane, poi i pesci. È il contrasto tra le obiezioni e l’esiguità dell’esordio e la constatazione degli avanzi abbondanti a far intuire cosa sia accaduto, e l’eccedenza non potrebbe essere più stridente. È significativo che, a questo punto, Gesù dia un altro comando ai suoi, ossia raccogliere (synàgo) i pezzi avanzati “perché nulla vada perduto” (v. 12), come segno di responsabilità condivisa a non sprecare l’abbondanza del dono di Dio in lui e a custodirlo per altri.

Ma il segno andrà spiegato (a questo servirà il discorso successivo), perché la sua portata è tale da suscitare clamore e meraviglia, ma anche grandi fraintendimenti: le affermazioni attribuite alla gente sono in parte inconsapevolmente vere (Gesù è colui che viene nel mondo, cfr. Gv 1,9), in parte incomplete (Gesù non è solo profeta). Soprattutto, il narratore ci mette a parte ancora una volta della conoscenza di Gesù, che “sa” che qualcuno di indefinito verrà a prenderlo per “farlo re”: che significa? Nel quarto vangelo questa regalità, lungi dalle celebrazioni del “mondo”, avrà un solo trono, ossia la croce. Ma l’ “ora” di contemplare questa intronizzazione non è ancora giunta (come tutta la prima metà di Giovanni ci ricorda, fino a 13,1): Gesù torna sul monte, da solo, lasciando noi e gli astanti sbigottiti a domandarsi il senso di tutto questo.