Domenica 21 Luglio – XVI del Tempo Ordinario

Mc  6,30-34

Se domenica scorsa abbiamo visto Gesù che, chiamati a sé i dodici, li inviava “in missione”, “a due a due” (Mc 6,7), questa domenica ascoltiamo del ritorno dei discepoli “attorno a Gesù” (v. 30) dopo la prima esperienza autonoma di predicazione e missione.

Tuttavia, dobbiamo informare lettori e lettrici che la liturgia salta una perìcope solo apparentemente lontana dal contesto in cui è inserita, ossia un lungo flashback sulla morte di Giovanni Battista, che il narratore inserisce (nella sua consueta modalità dell’incastonamento) tra l’andata e il ritorno dei discepoli (6,14-29). In tale flashback, a partire dai dubbi del re Erode sull’identità di Gesù, vengono raccontati l’imprigionamento del Battista e poi la sua decapitazione voluta per vendetta da Erodiade (moglie “illegittima” di Erode) e ottenuta convincendo il re imbelle attraverso la seducente danza della figlia Salome. Questa digressione (tale solo in apparenza) permette al lettore, in una pausa dall’agire di Gesù, di riflettere sui pericoli che minacciano la missione del Maestro (e quella dei suoi discepoli, che intanto sta avendo luogo): se i pericoli e i nemici sono gli stessi, anche i loro destini potranno essere drammaticamente simili. Il pubblico è avvertito!

Detto questo, se analizziamo i brevi versetti del Vangelo odierno saremo sorpresi dal notare tre cose:

1) i discepoli raccontano “quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato”, ma il comando esplicito di insegnare mancava nell’invio di Gesù (cfr. Mc 6,7-13);

2) la scelta pedagogica di Gesù dopo il racconto dei “successi” missionari dei suoi discepoli non è una convention celebrativa, ma un ritiro. Egli, infatti, propone ai suoi di andarsene “in disparte, da soli, in un luogo deserto” (v. 31), a riposare. In disparte (kat’idìan, avverbio decisivo in Marco) era avvenuta la loro formazione (cfr. 4,34); in disparte avrà luogo il loro riposo insieme a Gesù. Questi, da eccellente maestro, destina e riserva tempi differenti durante la formazione dei suoi, distinguendo un momento per l’insegnamento, uno per la pratica apostolica e uno per il riposo, senza trascurare i bisogni concreti degli uomini e delle donne che ha davanti (elemento che il racconto confermerà tra poco);

3) tuttavia – e qui emerge la terza sorpresa del racconto – il bel programma di cui abbiamo parlato viene subito modificato a causa di un’esigenza imprevista: il v. 33, infatti, racconta che il clamore e la fama che circondano i nostri ne rendono quasi impossibile uno spostamento segreto. Ma, soprattutto, è la contemplazione delle folle a cambiare i piani di Gesù, che si commuove fin nelle viscere (il verbo greco è proprio splanchnìzomai; le splànchna sono gli organi interni e, per metonimia, le emozioni) perché – spiega il narratore, con una efficace focalizzazione interna – “erano come pecore che non hanno un pastore” (v. 34). Il figlio assomiglia a chi lo ha generato, a quel Dio padre/madre di cui la Bibbia dice non che ha un gran cuore (come ci esprimeremmo oggi), bensì “viscere di misericordia”: prima ancora della Vulgata del Benedictus (Lc 1,78), in cui ricorre l’espressione latina viscera misericordiae, già tutta la tradizione profetica (cfr.  Os 11,8; Ger 31,20;  Is 49,14-16) ha parlato del perturbamento delle viscere di Dio che fremono per Israele.

Al bisogno delle folle, inatteso e imprevisto, Gesù non contrappone programmi già prestabiliti o impegni già assunti, ma mette in discussione totale la decisione presa e si offre come il “pastore” che manca. Facendo cosa? Cominciando a insegnare, addirittura “molte cose”: la folla, ora, ha bisogno di parole che ammaestrino e guidino.

Fra poco avranno anche bisogno di pane, e vedremo come Gesù risponderà a tali bisogni.