Domenica 30 giugno – XIII del Tempo Ordinario

Mc  5,21-43

Il cap. 5 di Marco è un capitolo densissimo per incontri, eventi prodigiosi, comparsa di personaggi unici. Soprattutto, esso presenta in serrata successione tre forti esperienze di liberazione (dalla possessione diabolica, dalla malattia, dalla morte) che costringono il lettore e i discepoli a fare i conti con il mistero dell’identità di colui che opera tali potenti atti di liberazione: Gesù di Nazaret. La proclamazione domenicale ci fa “saltare” il primo dei tre episodi, ossia l’esorcismo dell’indemoniato geraseno (vv. 1-20), ma per fortuna non spezza la peculiare costruzione a incastonamento in cui sono raccontati gli altri due: la rianimazione della figlia di Giairo (vv. 21-24; 35-43) e la guarigione dell’emorroissa (vv. 25-34).

Il secondo episodio ha luogo, quasi non voluto, lungo il tragitto verso la casa di Giàiro, capo della sinagoga e padre della fanciulla dodicenne ammalatasi, che si getta ai piedi di Gesù implorando un suo intervento (vv. 22-24). Eppure si tratta di una combinazione di scene solo apparentemente casuale, che nasconde una costruzione piuttosto raffinata di legami multipli tra il cosiddetto racconto cornice e la storia in esso contenuta, che si enfatizzano a vicenda: due protagoniste femminili, complementari per età (una giovane fanciulla e una donna più matura) e condizione sociale (la ragazza è figlia di un personaggio di riguardo, addirittura menzionato per nome, e circondata da familiari, servi e amici; anonima e sola, invece, è la donna); lo stesso numero di anni evocati riguardo ciascuna (i dodici della malattia della donna, v. 25; i dodici di età della ragazza, v. 42); la mediazione del toccare come strumento dell’azione taumaturgica (le mani di Gesù “implorate” da Giàiro sin dall’inizio, v. 23; il toccare della donna, vv. 30-31; il prendere la bambina per mano da parte di Gesù, v. 41); la derisione che, più o meno velatamente, subiscono le parole di Gesù (v. 31; v. 40).

Anche gli spazi si alternano sapientemente, tra dimensione pubblica e aperta (la riva dell’invocazione e la strada del primo miracolo) e ambienti privati e riservati (la casa, la stanza e la segretezza del secondo). Sia prima sia dopo, però, Gesù e gli involontari coprotagonisti di queste scene sono circondati da trambusto e folla, all’interno dei quali si aprono, per due volte, due squarci di interiorizzazione e silenzio, grazie ai quali il lettore riesce a superare il chiasso e osservare da vicino quanto avviene: così prima entriamo nell’interiorità della donna e nei suoi pensieri più nascosti, grazie al monologo interiore del v. 28 e alla focalizzazione interna che ci fa condividere le sue sensazioni nascoste (il malessere, prima; la salute ritrovata, poi); quindi restiamo, con pochi intimi, nella stanza della fanciulla, dopo che Gesù ha cacciato via tutti, e assistiamo al miracolo compiuto.

Il sùbito (euthùs) tanto caro a Marco, l’avverbio che dice per questo evangelista il tempo dell’irruzione del regno di Dio, lega ancora una volta le due figure femminili (v. 29; v. 42). Lettrici e lettori, dunque, che hanno sentito rivolta anche a sé stessi la raccomandazione di Gesù, rievocatrice di tutta la storia della salvezza, “Non temere, soltanto abbi fede!” (v. 36; cfr la fede evocata anche al v. 34), contemplano nel silenzio finale questa sovrabbondanza di doni e di vita, fiduciosi che la paura e la morte – seppur presenti, ineludibili, drammaticamente reali – non avranno l’ultima parola in questa Storia.