Domenica 1 dicembre – I di Avvento

Una liberazione vicina
Lc 21,25-28.34-36

Luca s’indirizza ai cristiani del suo tempo ma anche a noi, chiamati ad animare il mondo mediante il respiro e il palpito della fede. Quelle del Signore sono parole di consolazione e di speranza di fronte alle tribolazioni della vita: gli avvenimenti che sconvolgono e disorientano il mondo sono per chi crede il segno della salvezza imminente e definitiva. Dentro i travagli della storia è possibile scorgere ciò che l’attraversa misteriosamente e quasi impercettibilmente e ne rappresenta la sua freschezza sorgiva: il regno dei cieli, il regno di Dio. Oltre la coltre dei disastri che interessano il cosmo, il credente è invitato a varcare la soglia dell’oltre sorprendente di Dio, cavalcando lo stupore per la sua venuta che trascende il caos e annuncia l’inizio di una nuova primavera, l’aurora della Redenzione.
Dopo il duplice annuncio relativo alla sorte della comunità perseguitata e di Gerusalemme conquistata, la pagina evangelica descrive gli eventi che preludono alla fine della storia. La venuta del Figlio dell’uomo (personaggio escatologico che rappresenta la comunità dei giusti, presente nel libro di Daniele e nella letteratura apocalittica) è preceduta da fenomeni eccezionali quali lo sconvolgimento del mondo celeste e di quello terrestre, espresso tramite l’angoscia dei popoli per l’avanzare del mare che esce dai limiti assegnatigli da Dio. La paura determinata dallo scatenamento delle forze celesti porterà gli uomini alla morte. Appare qui il motivo del “giorno del Signore”, la venuta di Dio per il giudizio, indicando come il momento finale abbia una valenza cosmica. Il Figlio dell’uomo è accompagnato dalla “nube”, che nella tradizione biblica è il segno della presenza di Dio e ne indica lo statuto trascendente, e dal motivo della potenza e dello splendore che rafforzano il suo tratto divino. È un Dio “eccedente” rispetto all’umana capienza quello che sta per venire. È un Dio “eccedente” anche in rapporto ai fenomeni. È lui la chiave di lettura dei travagli cosmici. Per questo nell’ora dello sconvolgimento il cristiano non si abbatte ma si solleva e alza il capo, fissando lo sguardo verso l’orizzonte della salvezza e scoprendo che la sua liberazione è vicina. Cielo e terra sono destinati a passare, ma il Dio che viene non passa, è stabile e rende stabili.
Il Vangelo ci invita quindi a non scoraggiarci dinanzi alle avversità e a coltivare un’attitudine paziente di fronte ad esse, un’attesa che non sia pigrizia ma capacità di appassionarsi al quotidiano. È l’invito all’igiene del cuore, alla cura del desiderio. Il nostro futuro è legato alla qualità dei nostri attuali desideri. Se aspiriamo a cose inconsistenti e agiamo solo in forza del nostro egoismo e della nostra avidità, appesantiamo il cuore e costruiamo un futuro evanescente contraddistinto dalla cultura della brutalità; se invece aspiriamo a realtà alte e sogniamo la bellezza, contribuiamo a edificare la cultura della convivialità. L’alternativa cristiana alla spirale di brutalità che periodicamente si abbatte contro l’uomo è la vigilanza orante. La preghiera regala a ogni orante il respiro stesso di Dio che immette nella nostra vita ossigeno nuovo, e il vegliare permette di non subire la vita passivamente ma di viverla fino in fondo e coglierne l’esuberanza e la bellezza. Questo soffio supplementare e questa vista esente da stanchezza sono la custodia dei battezzati dinanzi agli sconvolgimenti del mondo e garanzia dell’incontro con Colui che viene in ogni uomo e in ogni tempo.

*consacrata dell’Ordo virginum e biblista